E proprio mentre in Francia
si infuocano le piazze per una legge che aumenta l’età pensionabile di
due anni, c’è chi di andare in pensione non ne ha la minima voglia. Alla
soglia dei 72 anni, Eric Bibb è sempre lui. Non ha mai fatto dischi
di comodo e non lo fa nemmeno con questo suo ultimo lavoro, Ridin’.
Si mette sempre alla prova, cerca di spingere sempre un po’ più su l’asticella,
di trovare qualcosa di nuovo da dire e di dirlo in maniera diversa, mai
ripetitiva. Proprio per questo suo modo di essere, instancabile e mai
pago, non possiamo che voler bene al musicista newyorkese, trapiantato
ormai da tempo con la famiglia in Svezia.
Il precedente lavoro, Dear
America, risale soltanto al 2021 e questo nuovo disco riprende
il filo interrotto della narrazione dell’America contemporanea, della
storia che la compone e delle fratture interne che la dividono. Bibb racconta
che il concetto sul quale ha voluto creare il disco è il tema del razzismo
e di come estirparlo. Fonte di ispirazione è stato il drammatico dipinto
di Eastman Johnson del 1862, A Ride for Liberty, che rappresenta
una famiglia afroamericana che fugge dalla schiavitù sudista durante la
guerra civile.
Ben quindici tracce compongono la scaletta di Ridin'. L’apertura
è lasciata al primo singolo, Family,
già anticipato nei social dell’artista a febbraio. Ci sono brani più movimentati
e allegri come la title track e Blues Funky Like Dat, dove fa la
sua apparizione anche Taj Mahal. The Ballad of John Howard Griffin
è dedicata al giornalista texano che sosteneva i diritti degli afroamericani
e l’uguaglianza fra neri e bianchi. 500 Miles,
al banjo e violino, come se fosse un brano dei primi del Novecento, è
un classico nel suo genere, dove Eric Bibb si esprime al suo meglio, così
come in Hold the Line. Cambio di stile con Tulsa Town, più
vivace e “moderna” con i suoi richiami gospel, mentre si ritorna al blues
acustico con I Got My Own. Tutti i
pezzi in scaletta hanno una forte identità e meriterebbero una citazione
a sé, ma una nota a parte la dedichiamo ai due brani strumentali, Onwards
e Church Bells, stupendi, evocativi e mozzafiato, come se fossero
stati suonati dalla chitarra spiritata di Blind Willie Johnson.
Per portare a compimento questo lavoro, Eric Bibb viene accompagnato da
un cast stellare di musicisti, il suo mentore Taj Mahal, Jontavious Willis,
Steve Jordan, Tommy Sims, Harrison Kennedy, Russell Malone e il vecchio
amico Habib Koité alla voce e alla kora. Bibb porterà sui palchi di Europa
e Australia questo nuovo lavoro e sicuramente verrà anche in Italia, dove
è conosciuto e amato. Ridin’ è un disco di unione e non
di divisione, di prospettive future piuttosto che di rimestamenti del
passato, di fratellanza e non di razzismo. Un disco lungimirante per una
persona che non ha mai smesso di cercare sé stesso negli altri e nel mondo
che lo circonda.