In un’epoca di sovrabbondanza
discografica e di musicisti assai prolifici, spesso oltre il dovuto, la
parsimonia di un'autrice come Meg Baird diventa quasi un vanto,
o meglio ancora il riflesso di un gesto artistico che sembra conservarsi
preziosamente. Certo, la musicista di stanza a San Francisco, rivelatasi
nel gruppo a tinte folk psichedeliche degli Espers, ha nel frattempo aderito
ad altri interessanti progetti paralleli, dall’exploit della creatura
Heron Oblivion (band a trazione più rock, fondata insieme a membri dei
Comets on Fire) fino al più sperimentale duo formato insieme all’arpista
Mary Lattimore (l’album Ghost Forests del 2018), ma numeri alla
mano sono otto lunghi anni che la Baird non tornava sui passi della sua
carriera solista, la stessa avviata, sempre in casa Drag City, con l’acustico
Dear
Companion nel lontano 2007, e giunta con Don't Weigh Down
the Light (2015) a una sorta di compimento di quella ricerca sul linguaggio
folk che ha sempre animato la sua scrittura.
Non sorprende dunque constatare che l’attuale Furling sia
il disco più ambizioso e ricercato dal punto di vista sonoro della sua
intera produzione, non necessariamente il più affascinante, ma quello
che introducendo stratificazioni di suoni e arrangiamenti elettro-acustici
prova a rendere la sua musica un corpo unico tra voce e strumento. L’introduzione
con Ashes, Ashes rappresenta il manifesto
di queste intenzioni, lì dove il canto celestiale di Meg è avvolto nelle
trame pianistiche e vagamente jazzy del brano, senza vere parole, ma gettando
sull’ascoltatore solamente sensazioni, magie, evocazioni. Queste ultime
sono quelle di un folk dall’anima antica ma dal carattere personale, dove
le eroine indiscusse di Meg Baird, dai fantasmi di Sandy Denny alla musa
dei Pentangle Jacqui McShee fino alle languide trame californiane di Joni
Mitchell, accompagnano per mano un viaggio interiore tra anima e natura
che emerge nella cullante dolcezza di Star Hill
Song, tra le volute angeliche di Ship
Captains e la trasparente risonanza di Cross Bay.
Album composto e inciso in buona parte dalla sola Baird con il sostegno
di Charlie Saufley (Heron Oblivion), infuso dalle note artmosferiche di
qualche timida chitarra elettrica, dai contorni di mellotron, synth e
pedal steel, Furling (avvolgere, ammainare, chiudersi) restituisce
esattamente il sentimento di una musica che mette in comunicazione con
la parte più nascosta dell’autrice, capace di incantare con i ritmi blandi
e circolari di Twelve Saints e la poetica brit-folk di Unnamed
Drives, tracce che contengono un mondo intero di modelli, ispirazioni
(e tradizioni) senza per questo copiarne mediocremente l’aspetto e il
suono. Non è affatto semplice il rapporto che sembra voler instaurare
con noi un album del tenore di Furling, con quel suo avanzare estatico,
rotto forse solamente dagli sprazzi delle percussioni e dal rapimento
di Will You Follow Me Home?, prima che Wreathing Days chiuda
il sipario con il fluire dei suoi minimali accordi pianistici, eppure
seguire con pazienza i sospiri di Meg Baird restituisce alla fine l’impressione
di avere sperimentato un dialogo quasi esclusivo e segreto con la sua
musica.