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Meg Baird
Furling
[Drag City 2023]

Sulla rete: megbaird.com

File Under: ethereal folk


di Fabio Cerbone (17/02/2023)

In un’epoca di sovrabbondanza discografica e di musicisti assai prolifici, spesso oltre il dovuto, la parsimonia di un'autrice come Meg Baird diventa quasi un vanto, o meglio ancora il riflesso di un gesto artistico che sembra conservarsi preziosamente. Certo, la musicista di stanza a San Francisco, rivelatasi nel gruppo a tinte folk psichedeliche degli Espers, ha nel frattempo aderito ad altri interessanti progetti paralleli, dall’exploit della creatura Heron Oblivion (band a trazione più rock, fondata insieme a membri dei Comets on Fire) fino al più sperimentale duo formato insieme all’arpista Mary Lattimore (l’album Ghost Forests del 2018), ma numeri alla mano sono otto lunghi anni che la Baird non tornava sui passi della sua carriera solista, la stessa avviata, sempre in casa Drag City, con l’acustico Dear Companion nel lontano 2007, e giunta con Don't Weigh Down the Light (2015) a una sorta di compimento di quella ricerca sul linguaggio folk che ha sempre animato la sua scrittura.

Non sorprende dunque constatare che l’attuale Furling sia il disco più ambizioso e ricercato dal punto di vista sonoro della sua intera produzione, non necessariamente il più affascinante, ma quello che introducendo stratificazioni di suoni e arrangiamenti elettro-acustici prova a rendere la sua musica un corpo unico tra voce e strumento. L’introduzione con Ashes, Ashes rappresenta il manifesto di queste intenzioni, lì dove il canto celestiale di Meg è avvolto nelle trame pianistiche e vagamente jazzy del brano, senza vere parole, ma gettando sull’ascoltatore solamente sensazioni, magie, evocazioni. Queste ultime sono quelle di un folk dall’anima antica ma dal carattere personale, dove le eroine indiscusse di Meg Baird, dai fantasmi di Sandy Denny alla musa dei Pentangle Jacqui McShee fino alle languide trame californiane di Joni Mitchell, accompagnano per mano un viaggio interiore tra anima e natura che emerge nella cullante dolcezza di Star Hill Song, tra le volute angeliche di Ship Captains e la trasparente risonanza di Cross Bay.

Album composto e inciso in buona parte dalla sola Baird con il sostegno di Charlie Saufley (Heron Oblivion), infuso dalle note artmosferiche di qualche timida chitarra elettrica, dai contorni di mellotron, synth e pedal steel, Furling (avvolgere, ammainare, chiudersi) restituisce esattamente il sentimento di una musica che mette in comunicazione con la parte più nascosta dell’autrice, capace di incantare con i ritmi blandi e circolari di Twelve Saints e la poetica brit-folk di Unnamed Drives, tracce che contengono un mondo intero di modelli, ispirazioni (e tradizioni) senza per questo copiarne mediocremente l’aspetto e il suono. Non è affatto semplice il rapporto che sembra voler instaurare con noi un album del tenore di Furling, con quel suo avanzare estatico, rotto forse solamente dagli sprazzi delle percussioni e dal rapimento di Will You Follow Me Home?, prima che Wreathing Days chiuda il sipario con il fluire dei suoi minimali accordi pianistici, eppure seguire con pazienza i sospiri di Meg Baird restituisce alla fine l’impressione di avere sperimentato un dialogo quasi esclusivo e segreto con la sua musica.


    



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