Alla soglia dei cinquant’anni
Laura Veirs può ben dirsi una veterana del folk indipendente di
questi anni Duemila, anche se, avendo iniziato a suonare professionalmente
intorno ai trenta, la sua carriera discografica è solo ventennale, e comunque
già piena di titoli che hanno ispirato anche parecchie giovani adepte
(Laura Marling è una che sicuramente l’ha seguita con attenzione). Il
suo undicesimo album si chiama molto significativamente Found Light,
e la luce trovata indica una pace dopo la tempesta sentimentale (con il
produttore Tucker Martine) dovuta al fallimento di un matrimonio (ma lei
sottolinea che i matrimoni non falliscono, al massimo si evolvono, a volte
anche in una salutare rottura), storia che in qualche modo ci aveva già
raccontato nei dischi precedenti.
Da un paio d’anni la Veirs ha reagito diventando anche una sorta di personaggio
da social che sciorina consigli alle donne sole su come crescere i figli
senza un padre e come arredare la casa, non senza mancare mai di gettarsi
anche in riflessioni appassionate sulla condizione femminile dei nostri
giorni. Per fortune questa "distrazione", che probabilmente
l’ha aiutata a rigenerarsi come persona, non ha intaccato la sua arte,
anzi, se il precedente My
Echo era stato uno sforzo produttivo decisamente imponente
per le sue abitudini dedite ad una musica scarna ed essenziale, con un
risultato già molto incoraggiante, Found Light sa di punto di arrivo,
dove la sua vena da semplice folksinger e la voglia di sperimentare anche
un po’ con i suoni moderni, in un puro spirito di autoproduzione come
agli esordi, trovano un perfetto equilibrio.
Non è un disco facile, eppure rispetto a My Echo le canzoni si
sono fatte meno cervellotiche, più naturali, come se al contrario del
precedente, la Veirs abbia semplicemente lasciato correre un flusso di
pensieri spesso apparentemente abbozzati (Seaside Haiku) o serenamente
leggeri (Ring Song). Le ombre ci sono ancora, e sono poste soprattutto
agli estremi del disco, che inizia con una Autumn
Song e finisce con una Winter Windows
indicando anche un certo percorso stagionale al suo racconto, che certo
non ispira leggerezza d’animo. Ma nella semplicità di una vita di casa
lontano dai riflettori, la Veirs ha ritrovato la vena della folksinger
intimista, con un disco che potrebbe persino appartenere a una Suzanne
Vega di altri tempi per quanto riesce a fare in certi casi di tradizione
virtù. In ogni caso tra tenui ballate (My Lantern, Can’t Help
But Sing), momenti di dream pop (Signal, New Arms),
e riusciti esperimenti (le percussioni di Eucaplytus,
il duello di violini di Time Will Show You), il disco funziona
bene, anche se richiede un silenzio e un'attenzione oggi rari.
Prendetelo come toccasana per una fine giornata particolarmente stressante,
Laura Veirs vi parlerà anche dei suoi problemi, ma qui suonano come un
caldo abbraccio di solidarietà di cui tutti abbiamo bisogno.