L’inguaribile espressione
da guascone di Ian Siegal e la sua forte teatralità, emergono con
grande evidenza nel singolo uscito poche settimane fa, I’m the Shit
(titolo non particolarmente elegiaco) che ha il compito di anticipare
il suo ultimo lavoro da studio, Stone by Stone, ennesima
tappa di una carriera lunga venticinque anni. Dopo alcuni live (alla Royal
Albert Hall e ad Amsterdam, peraltro entrambi belli in quanto riuscivano
a rappresentare anche il rapporto diretto col pubblico che Siegal cerca
sempre di instaurare durante i concerti, fra battute sconce, racconti
di vita vissuta e doppi sensi, come quando spiega al pubblico la canzone
Gallo Del Cielo) e dischi da studio sempre di livello ma a volte
altalenanti dal punto di vista dell’originalità del materiale, per questo
nuovo disco il musicista inglese vola in California per cercare nuova
nuova linfa vitale.
E per la precisione Stone By Stone è registrato nei Grow Vision
Studios con Greta Valenti e Robin Davey alla produzione. Al centro di
tutto c’è la voce potente ed espressiva di Ian Siegal, in alcuni punti
accompagnato da vecchi amici come Shemekia Copeland e Jimbo Mathus (con
cui Siegal registrò Wayward Sons), ma che sono soltanto a corollario
delle canzoni e dell’espressività di Siegal stesso, qui in forma smagliante
e in mood waitsiano più che mai. Ci sono brani assolutamente contagiosi
come Working On A Building (con Jimmie
Wood e J.J. Holiday come ospiti), Hand in Hand
(con Shemekia Copeland) o la già citata I’m the Shit, che mettono
in mostra tutta l’arte di Ian Siegal nel cimentarsi con schemi standard
rendendoli però tormentoni accattivanti difficili da togliersi dalla testa.
Ci sono poi ballate alla Tony Joe White, un altro dei maestri di Siegal,
come This Heart, Onwards and Upwards o degli omaggi al Tom
Waits più adulto e maturo come in The Fear o Monday Saw.
Undici brani in tutto, magari qualcuno più riuscito di altri, ma nessun
punto debole. E comunque Stone By Stone non è un album blues, non
è The
Skinny o Candy
Store Kid (dischi in cui Ian Siegal collaborò con North Mississippi
Allstars e altri artisti dello stesso cerchio magico) e non vincerà dei
Grammy Awards come miglior album di blues contemporaneo, come invece accadde
proprio per quei due dischi. Questo è un lavoro che fonde le anime di
Siegal, dal songwriting, al blues, al folk e che ci fa vedere la classe
del musicista di Portsmouth nell’affondare mani e piedi nel terreno fertile
della tradizione americana. E se vederlo dal vivo è sempre un’esperienza
che mischia musica, spettacolo, teatralità, fortunatamente Ian Siegal
è ancora in grado di regalarci dischi all’altezza della sua presenza scenica.