Tra i personaggi
più singolari e schivi che abbiano trafficato con la materia folk americana
in questi ultimi trent’anni – viene in mente, da un altro punto di osservazione,
il solo Jim White – Jeb Loy Nichols si muove da tempo in un mondo
appartato dove il suddetto folk e anche la materia country sfumano nei
colori pastello del soul, si incrociano con i ritmi del reggea e del dub,
si sporcano leggermente con l’elettronica. Un percorso coerente e defilato
che prosegue da almeno un paio di decenni e forse più, da quando Nichols
ha interrotto la breve parentesi dei Fellow Travellers, il progetto che
inizialmente aveva fatto conoscere la sua figura, per intraprendere una
carriera solista che gli ha portato numerose soddisfazioni soprattutto
nel Regno Unito.
Non è un caso che proprio lì si sia ormai trasferito da molti anni, lui
che è cresciuto come un vagabondo tra il nativo Wyoming, il Texas e New
York, prima di prendere il volo per Londra e adesso vivere in una casa
un po’ isolata nella campagna del Galles. Da quel luogo Nichols manda
segnali parchi, avendo rallentato di recente le sue pubblicazioni, per
dedicarsi anche all’altra occupazione, quella di visual artist, grafico
e disegnatore (ha curato anche diverse copertine di album ad inizio carriera).
Così, proprio il suo punto di vista di americano espatriato infonde l’anima
compassionevole e ferita al tempo stesso di questo United States
of the Broken Hearted, album irresistibilmente “minimalista” che
lo fa reincontrare con la On U Sounds del produttore Adrian Sherwood,
nome di punta della scena dub ed elettronica inglese, con il quale Nichols
aveva già collaborato in passato.
Ritroviamo una voce inconfondibile, quel gentile sussurro dal tono sabbioso,
che avevamo colpevolmente perso dai nostri radar (erano i primi anni Duemila,
con dischi come Just What Time It Is e Easy Now per la Rykodisc),
qui attento a ritrovare i suoi legami con la tradizione, rileggendo persino
Woody Guthrie (la famosa Deportees,
ora reimmaginata al tempo dei rifugiati e migranti della terra), il classico
della canzone sindacale di lotta, firmato da Sarah Ogan Gunning, I
Hate the Capitalist System, e l’altrettanto nota Satisfied Mind,
ballata nel repertorio di mille musicisti, dai Byrds ai Walkabouts, che
ha sempre attratto per i suoi toni universalistici. I restanti nove brani
autografi si fondono alla perfezione creando un affresco sulla società
americana divisa e sofferente, verso la quale Nichols volge il suo sguardo
di pietas con una musica fatta di piccole rivelazioni, minimale in apparenza,
ma ad ogni brano disvelatrice di qualche illuminazione.
Un disco fatto di poche, bellissime minuzie United States of the Broken
Hearted, le note della chitarra acustica avvolte nella coperta di
fiati (Dave Fulwood alla tromba) e basso in Monsters on the Hill,
il flauto di Paul Booth (anche al sax) che tiene per mano
Big Troubles Come in Through a Small Door, su tutto infine
il tocco di Sherwood, regia musicale la sua che riveste le pareti di queste
canzoni senza distogliere l’attenzione dal fruscio vocale di Nichols,
il fulcro di un’interpretazione “laid back” che affascina per sottrazione.
Il suo è un bisbiglio soul che ha nel cuore la lezione di Curtis Mayfield
e Bill Withers, e la fa incontrare con la narrativa folk in una sequenza
di canzoni che si aprono davanti a noi come capitoli di un’unica preghiera
per un paese e un’umanità in tormento: la sinuosa Fold Me Up, il
gemello languore blues di No Hiding Place for
Me, il dondolare ritmico e il soffio caraibico dei fiati in
What Does a Man Do All Day, il dolce respiro acustico e jazzy di I'm
Just a Visitor, per approdare alla leggiadria soul della stessa United
States of the Broken Hearted, che davvero si fa fatica
a non immaginare nei pensieri e nella sensibilità di Mayfield.
Straniante nell’accostare la sua delicatezza interpretativa con i temi
affrontati (su tutto proprio la citata I Hate the Capitalist System,
in duetto con la seconda voce di Ghetto Priest), United States of the
Broken Hearted è un maturo punto di arrivo nella singolare parabola
artistica di Jeb Loy Nichols.