Kevin
Morby è uno a cui piace mescolare le carte e se per qualcuno ciò può
rappresentare il sintomo di uno stato confusionale, destinato pian piano
a farlo sbandare dal proprio percorso identitario e a sottrargli ispirazione
e credibilità, per altri, tra i quali ci mettiamo agevolmente noi, questi
umori mutevoli ne accentuano piuttosto le capacità critiche e lo spingono
verso una naturale e brillante evoluzione stilistica. Del resto nessuna
forma d’arte può sopravvivere su presupposti di staticità e di isolamento,
ma deve nutrirsi del quotidiano ed essere pronta a favorire ogni mutazione
suggerita dall’istinto e dalla sensibilità dei suoi interpreti.
Kevin negli ultimi due anni, oltre a dover fare i conti, come tutti, con
la pandemia, ha avuto modo di toccare con mano la fragilità della condizione
umana a causa dell’improvviso malore che ha colpito il padre durante una
cena. Ed è stata proprio quella stessa sera che, sfogliando degli album
con le foto di famiglia, sarebbero maturate le riflessioni sull’inesorabile
incedere del tempo, sui legami affettivi, sulla nostalgia, sul dolore,
sulla morte, dalle quali avrebbero poi tratto forma i dieci brani di questo
This Is a Photograph, settimo album in studio del giovane
musicista texano. Diciamolo subito, si tratta di una prova discografica
maiuscola, potente, spirituale, autentica, concepita come un unicum per
tradurre in musica, in maniera fluida, frammenti di ricordi sopiti, impressi
su quelle vecchie pellicole. Un’opera rock di grande respiro, in cui si
amplia lo spettro delle emozioni e in cui, accanto alle già consumate
citazioni dei classici della musica d’autore americana e ai già sperimentati
riverberi psichedelici, trova spazio un roots-rock pulsante e pluricromatico,
sapientemente intriso di soul e country.
Non è un caso, infatti, che tutto si sviluppi a margine di un viaggio
a Memphis, compiuto da Kevin per rendere omaggio ad alcuni dei suoi eroi
musicali d a seguito del quale lo stesso ha finito per farsi travolgere
dalla magia del sud, dal potere oscuro delle acque del Mississippi, freddo
sepolcro dello spirito dell’amato Jeff Buckley (la splendida ed evocativa
A Coat of Butterflies è dedicata proprio
a lui), dal luccicante ed imperituro mito di Elvis e dalla forza evocativa
del Peabody Hotel e del Sam C. Phillips Recording Studio, dove peraltro
si sono svolte le ultime session dal vivo del progetto, curate da Jerry
Phillips (per la cronaca, figlio di Sam).
L’inizio dell’album, affidato al pezzo che dà il titolo al lavoro, è folgorante.
Profuma di mainstream, di tradizione rurale ma disvela coerenti accenti
metropolitani, il tutto esaltato da un’elaborazione sonora di sicuro impatto,
particolarmente attenta alle dinamiche ed al flusso impetuoso delle liriche.
Tre minuti e mezzo in cui Kevin rifà le presentazioni e ci fornisce una
nuova versione inclusiva del suo formulario di americana black & white.
Ed è su questa linea che si snoda l’intero disco, la cui essenza è racchiusa
nel viatico appena intrapreso e nell’esplorazione dei luoghi dell’anima,
privilegiando a volte la matrice country-folk (Bittersweet, TN
e Goodbye To Good Times), a volte la vena blues-soul (Disappearing
e It’s Over), a volte l’attitudine pop-rock (A
Random Act of Kindness), a volte assecondando l’istinto rock’n’roll
(Rock Bottom, tributo al defunto Jay
Reatard) o la tentazione di riposizionarsi sul versante cantautorale (Five
Easy Pieces e Stop Before I Cry). Tutti brani di una bellezza
scintillante che citano il meglio del patrimonio musicale passato e presente,
da Lou Reed a John Lennon, da Otis Redding a Michael Kiwanuka, da Dylan
ai Primal Scream, dagli Stones a Hiss Golden Messenger.
Episodi che scivolano fluenti, magnetici, imprescindibili, avvolti da
un senso di circolarità che rafforza l’unitarietà delle trame, valorizzati
appieno dall’elegante gusto orchestrale di Sam Cohen, a cui sono affidate
la produzione dell’album e le parti di basso e dalla collaborazione di
ottimi musicisti, tra i quali vanno ricordati Nick Kinsey (batteria), Oliver
Hill (pianoforte), Cochemea Gastelum (sassofono), Jared Samuel (organo)
e Alecia Chakour (voce e tamburello), oltre alla madre di Kevin e alla
sorella Charlotte (archi). This is a Photograph è Kevin Morby
ad un livello superiore, al meglio delle proprie potenzialità, da scegliere,
godere, acquisire e conservare con estrema cura.