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Shemekia Copeland
Done Come Too Far
[Alligator records 2022]

Sulla rete: shemekiacopeland.com

File Under: rage blues


di Nicola Gervasini (01/10/2022)

Nonostante le regole del mercato discografico siano saltate da tempo e gli steccati tra i generi siano oggi sempre meno marcabili, esistono riserve musicali che resistono al tempo e alle mode, quasi fossero monadi senza porte né finestre che conservano fieramente la propria essenza di seme primordiale di tutto. Tra queste il blues rimane una delle più impenetrabili, con un suo mercato del tutto autoctono e nuovi eroi che ormai sfuggono ai più se non si rimane all’interno della nicchia. Shemekia Copeland è una vocalist che in questo mondo a parte si muove ormai da 25 anni, vuoi perché figlia d’arte del grandissimo chitarrista Johnny Copeland (scomparso proprio quando lei muoveva i primi passi da professionista), vuoi perché, se nasci a Chicago, l’elettricità del blues la vivi fin dalla culla.

Done Come Too Far è il suo undicesimo album (segue di due anni Uncivil War) e possiamo considerarlo un ottimo modo per fare la sua conoscenza, perché al di là delle certezze di un genere che richiede più personalità che originalità, le sue canzoni esprimono un'energia e un suono grezzamente elettrico che può piacere anche a chi magari del blues si è stufato già da qualche decennio. Innanzitutto il cast che l’aiuta è stellare, e non necessariamente in ambito blues, dall’a noi ben noto chitarrista Will Kimbrough, che produce il disco cercando il suono più sporco del suo campionario, ad un’altra nobile sei-corde come quella di Sonny Landreth, che contrappunta l’iniziale e polemica Too Far To Be Gone (“You can kill a man but not a dream”). E in più un altro nobile figlio (e nipote) d’arte come Cedric Burnside (suo nonno era il mitico R. L. Burnside), l’organista della Hi Rhythm Section, Charles Hodges, e altre nostre vecchie conoscenze come il Wilco Pat Sansone e Oliver Wood dei Wood Brothers.

Ma a legare il tutto c’è lei, con la sua voce profonda e squillante nello stesso tempo, e delle canzoni che conservano nei testi la giusta rabbia di donna americana, nonostante siano state scritte per lei in gran parte da Kimborough. Si spazia nelle varie tonalità del blues più elettrico (Dumb It Down), ma non si si disdegna qualche uscita dal seminato nelle atmosfere più acustiche della splendida The Dolls Are Sleeping, nello zydeco di Fried Catfish and Bibles e addirittura nell’hony-tonk country di Fell In Love With A Honky, brano che segue tra l’altro una riuscita cover di Barefooot In Heaven di Ray Willie Hubbard. Non mancano le ballatone come la stessa Done Come Too Far o momenti più rockeggianti, come l’invettiva contro l’uso delle armi in USA di Pink Turns to Red.

C’è tutto e anche di più, in un disco ottimamente suonato e prodotto, che dimostra come qualche voce possa ancora arrivare a tutti e che un messaggio politico si può ancora levare dalle “muddy waters” di un mondo spesso troppo autoreferenziale come quello del blues.


    



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