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Son of the Velvet Rat
Solitary Company
[Fluff and Gravy 2021]

Sulla rete: sonofthevelvetrat.com

File Under: folk noir


di Fabio Cerbone (02/04/2021)

Nome curioso, disturbante e un po’ sinistro, musica altrettanto sfuggente ma di grande fascino, i Son of the Velvet Rat sono la creatura di Georg Altziebler, autore, voce principale e chitarra, e della compagna Heike Binder, organo, accordion e theremin, coppia di origini austriache, dalla città di Graz, che ha trovato casa, ispirazione e orecchie sensibili in terra californiana. Trasferitisi negli Stati Uniti nel 2013, accolti dalla comunità artistica locale che ruota intorno ai favoleggiati luoghi del deserto del Mojave e di luoghi simbolici come Joshua Tree, i Son of the Velvet Rat hanno guadagnato presto estimatori di assoluta caratura, come Lucinda Williams e soprattutto Joe Henry, che aveva messo mano alla produzione del precedente Dorado.

Quel disco aveva rappresentato anche per noi la porta di ingresso al mondo musicale del duo, un seducente incontro fra canzone country folk americana dai tratti noir e reminiscenze mitteleuropee, blues notturno e d’autore, intenzioni rock accostate a un suono più rarefatto a bagnato nel gospel. Solitary Company, a tre anni di distanza e con un disco dal vivo di mezzo, The Late Show, riprende il discorso interrotto con altre dieci canzoni, tutte frutto del fervido songwriting di Altziebler, che ne accentuano il carattere austero e il languore elettro-acustico, parlando di luoghi, incontri, visioni. Il canto rugoso e sussurrato di Georg Altziebler, in apparenza fragile come un fantasma, è parte integrante dell’attrattiva della loro musica, la quale pur non avendo oggi a disposizione il parterre di strumentisti messo sul piatto da Henry nel precedente album, ha fatto tesoro di quelle intuizioni, offrendo fin dall’apertura con Alicia, ondeggiane e malinconico folk rock condotto per mano dal violino di Bob Furgo, un saggio del loro stile.

Quest’ultimo è tuttavia meno irrigidito di quello che si possa pensare, dissolvendosi negli archi di una sontuosa title track che lascia emergere ombre del maestro Leonard Cohen, per riprendere vigore rock nell’incalzare un po’ western (anche il fischio aiuta nella similitudine) di Stardust, e approdando in una letargica e affascinante ballad come When the Lights Go Down, l’accordion e le voci di sottofondo a dettare il senso di marcia, che ci immaginiamo già nell’interpretazione del compianto Robert Fisher dei Willard Grant Conspiracy (i quali sembrano fare capolino anche nella cadenzata Beautiful Disarray, tra i passaggi più “immediati” della raccolta).

Inciso sotto la guida di Gar Robertson (presente anche alle chitarre elettriche) presso il suo Red Barn, granaio riconvertito a studio di registrazione nella Morongo Valley, Solitary Company assorbe gli influssi geografici e subisce l’attrazione del deserto americano, restituendo una colonna sonora dove il linguaggio Americana è sballottato tra luoghi di luce e angoli bui, fra il tepore country gospel di 11 & 9 (data dell’anniversario della coppia Altziebler-Binder) e l’asciuttezza folk di The Waterlily & The Dragonfly, il soffio rootsy della marcetta di Ferris Wheel, e il tremolio dolce della preghiera finale, con la slide di Albrecht Klinger, di Remember Me.

Ancora una volta la sensibilità “aliena” di musicisti europei ha saputo cogliere suoni, immagini e battiti più americani dell’America stessa.


    


<Credits>