Erano gli Squirrel Nut Zippers,
negli anni Novanta, ma il fervido ingegno di Jimbo Mathus, dalla
Carolina del Nord si è spostato come un moderno hobo delle geografie musicali,
in contesti e progetti che hanno sempre trovato il plauso di chi mai avesse
finito per incrociarlo. Andrew Bird, col suo violino, aveva finito
per collaborare con quella stessa band profondamente consapevole delle
molteplici radici della musica americana, e come due veterani di vecchia
data si ritrovano ora, declinando al futuro dell’anno ventuno del ventunesimo
secolo una musica che potrebbe benissimo essere di cent’anni prima. America
prebellica, che non sapeva dove sarebbe andata a finire, ma come avrebbe
cantato ancora Woody Guthrie: “questo treno non porta giocatori d’azzardo/
bugiardi, ladri e prostitute/ questo treno va verso la gloria/ questo
treno”!
L’atmosfera di questo disco è perciò ancora quella, piena di speranza
e una punta di malinconia, di quel traditional degli anni venti, This
Train Is Bound For Glory, raccolto sul campo dagli etnomusicologi
Lomax padre e figlio, che Woody narra di condividerne ancora una volta
il cantato sul primo treno su cui lo ritroviamo, nell’incipit alla sua
biografia Questa terra è la mia terra (in originale Bound For
Glory, 1943, appunto). Brani come di una registrazione dai campi,
canzoni folk come da un canzoniere popolare che fu dei Lomax per lo Smithsonian
Institution, ma potrebbe essere anche dalla leggendaria Anthology of
American Folk Music di Harry Smith: sono questi gli umori dell’album
di Mathus e Bird, le cui tracce sparse nella rete ce li propongono spesso
en plain air, come due pittori impressionisti musicali, a dipingere scenari
bucolici evocati dai loro pezzi, in contrasto cromatico coi tempi bui
che stiamo attraversando: ma non era così anche per quelle musiche raccolte
dai campi di lavoro, quand’anche da forzati in catene al penitenziario
di Parchman, MS? Tempi duri ovunque e cani alle calcagna, vigilantes come
cerberi dall’inferno e il primo merci in corsa verso la libertà, come
nella moderna odissea di “Fratello, dove sei?”.
Le canzoni allora, come cronaca di una fuga o manifesto di libertà, non
fosse altro che il ritaglio di uno scorcio evocativo di bellezza, luce
nel buio come quella del Midnight Special per cui, la cantava anche Leadbelly,
se il carcerato vedrà il fascio di luce del treno di mezzanotte, egli
sarà libero. Raccolgono proprio da questo patrimonio stilistico, i due
di These 13, e in beffa a qualsivoglia superstizione, ne
piazzano giust’appunto tredici nella medesima vena artistica, apertura
con la collaudata Poor Lost Souls
che di Jimbo era già nell'album White Buffalo, coi Tri State Coalition
del 2013; sicché via di fila, incalzanti come lo sbuffare di una locomotiva,
tanto veloce un tempo quanto incantevole oggi. La cura nel preservare
le canzoni da una probabile perdita di spessore dell’era digitale poi,
metaforica o no, i due pards la affidano al terzo uomo dietro il microfono,
Mike Viola, confluendo su nastri analogici attraverso un vecchio RCA 44.
Sofismi o meno, il risultato è un altro colpo vincente dei compari che,
non solo quando Jack’O Diamonds rievoca davvero il fantasma di
Tom Joad, basti il pizzicato di violino, chitarra e duetto vocale ed è
un tuffo al cuore, messaggio ai posteri dell’Agenda ‘21.