“Corey Harris ha fatto della
ricerca il proprio ferro del mestiere, cercando ostinatamente di trovare
un comune denominatore per tutte le forze che muovono la musica di matrice
afro americana” (cit). E’ una considerazione che risale a diverso tempo
fa, al 2005 e alla pubblicazione dell’ottimo Daily Bread; un momento
di grande importanza per un artista che, già da un decennio prima, raccoglieva
insieme ad altri l’eredità della tradizione, con il compito di traghettarla
verso il nuovo millennio. Citando ancora, “non di semplice rivisitazione
si tratta, piuttosto della revisione critica di un percorso storico”.
Non a caso un album come Mississippi To Mali, del 2003, uno studio
ragionato e “a ritroso” rispetto alla celebre partecipazione al documentario
“Feel Like Goin’ Home”, di Martin Scorsese, risalente a qualche tempo
prima. Un personaggio illustre dunque, che si dimostra ancora una volta
capace di dar vita a quel prezioso filo conduttore che caratterizza anche
le sue performance dal vivo; un bluesman, uno story teller, profondo conoscitore
della storia del blues in ogni sua sfumatura, allo stesso tempo artista
del tutto contemporaneo.
Dopo numerosi album, ricordiamo gli esordi per Alligator (tra cui gli
eccellenti Fish Ain’t Beatin’ e Greens From The Garden)
e il sodalizio con etichette come Telarc e Rounder, nonché tante collaborazioni
segno di altrettanta versatilità, da Taj Mahal, a R.L. Burnside, Ali Farka
Toure, Olu Dara, Wilco, Henry Butker tra gli altri, soprattutto dopo una
intensa attività live che lo ha portato all’attenzione degli appassionati
di ogni latitudine (compreso ovviamente il nostro paese, con il quale
ha un legame particolare), Harris si presenta all’appuntamento con un
nuovo lavoro, realizzato in Italia per Bloos Records. The Insurrection
Blues è di nuovo una piccola perla, frutto, come nella miglior
tradizione del nostro, di quattordici tracce acustiche che filtrano attraverso
una vicenda musicale (e non solo) ormai comprendente anche Corey stesso,
il quale, forte solo dello strumento e dell’espressività della sua voce,
arrangia alcuni traditional facendoli suoi, come l’iconica Twelve
Gates To The City, o Toubaka, l’articolata Sunjata,
frutto di un prezioso gioco di finger picking, o ancora By And By,
animata dalla slide.
C’è grande intensità, la stessa che investe le composizioni prese dal
songbook di artisti illustri, anche questi interpretati come fossero propri,
la desolata Some Of These Days, When Did You Leave Heaven,
con Lino Muoio al mandolino (uno dei due ospiti illustri, l’altro è lo
storico armonicista Phil Wiggins in Afton Mountain Blues), la splendida
Special Rider Blues, dell’amato Skip
James, Boats Up River, numero di puro piedmont blues composto da
John Jackson, You Gonna Quit Me Baby di Blind Blake, come pure
di Blake è la vivace That Will Never Appen No
More, ottima e vituosistica; mai quanto Scottsville Breakdown,
composta da Harris in persona, allo stesso modo di Mama Africa
e della cupa, bellissima Insurrection Blues (Chickens
Come Home To Roost). Come dire, organico minimale e grande
musica: bel disco.