Country Westerns
Country Westerns

[Fat Possum/ Goodfellas 2020]

countrywesternsband.com

File Under: Post-punk roots’n’roll

di Gianfranco Callieri (01/07/2020)

Per descrivere i Country Westerns, da Nashville - nati nella primavera dello scorso anno, quando il cantante e chitarrista Joey Plunkett si è imbattuto nei tamburi disarticolati e chiassosi di Brian Kutzur (qualcuno lo ricorderà nei Silver Jews di David Berman, mentre altri, forse a loro insaputa, l’avranno visto in qualità di attore, ancorché mascherato, nell’inguardabile Trash Humpers [2009] di Harmony Korine), subito dopo integrandoli con il basso di Sabrina Rush, che non aveva mai impugnato lo strumento prima (faceva la violinista) e quindi è parsa immediatamente adatta al ruolo - non ci sono parole più azzeccate di quelle adoperate dal loro produttore. Costui fa di nome Matt Sweeney (Zwan, Bonnie “Prince” Billy, Turbonegro, Stephen Malkmus etc.) e, sul sito ufficiale del gruppo, si è espresso così: «Penso che chi apprezza una cruda scrittura rock sulla scia di Dwight Twilley, Dead Moon, Wipers, The Saints, Replacements, Green On Red e via dicendo dovrebbe amare questa band».

Dichiarazione invero perfetta, perché in parte non c’entra un tubo (suppongo chiamare in causa i Wipers di Greg Sage dica qualcosa sulle predilezioni di Sweeney, ma molto poco sulla natura dei CW), e in parte, nel suo mescolare a ruota libera punk a bassa fedeltà e rock alternativo degli anni 80, restituisce in modo attendibile il senso di abbandono invocato da un trio il cui intreccio tra testi dimessi, bruschi e sbrigativi (quasi banali nel descrivere le cose minime della vita di tutti i giorni), e musica rabbiosa, accompagnata da un cantato a tratti rauco, e in altri momenti fragile e singhiozzante (con qualcosa di Ben Nichols dei Lucero, sebbene in formato più caustico), ricorda talvolta la sba(n)data ferocia con la quale gli Uncle Tupelo seppero rivisitare tradizioni e radici, ovvero servendosi della malinconia di Gram Parsons e della furia hardcore degli Hüsker Dü. Questo per dare un’idea di massima dei contenuti riscontrabili nelle undici canzoni di Country Westerns, e per tracciarne una possibile genealogia sonora, anche se poi i tre CW si divertono a confondere gli antecedenti sin qui evocati con distacco e apparente menefreghismo, finendo per suonare come chi si sia appena svegliato con un mal ti testa, dopo una sbornia o senza avere certezze, almeno apparenti, sulla direzione da intraprendere: impossibile, quindi, non tirare in ballo i ‘Mats più scorticati (però riletti alla luce del primo e più sotterraneo alt.country), o se vogliamo il rock and roll sguaiato, accanito e travolgente dei Saints del secondo album (ma senza i fiati).

Le sei corde distorte, sporche, allucinate e febbrili di Anytime e It’s On Me, o il folk-rock trasfigurato in bufera elettrica di Time To Tunnels, rimandano inoltre, più che al power-pop comunemente inteso, ai Whiskeytown ancora grezzi e accorati di Faithless Street (1995), eppure, malgrado la baraonda di inevitabili riferimenti, i CW sanno mantenere una loro, granitica identità. Garantita, in questo caso, dal punk-rock a rotta di collo di TV Light, dall’incipit stradaiolo di una Guest Checks tra Prince e Jason & The Scorchers (!), dalla vischiosità pop di una Close To Me in cui l’evidente nostalgia per il cosiddetto «nuovo rock» di quarant’anni fa viene stemperata dall’arrangiamento urticante e minimale. Stupenda, inoltre, è l’atmosfera livida e di sanguinaria introspezione di Slow Nights (e qui il pensiero corre agli Alley Cats, oppure agli X della fase di mezzo), altro abbraccio virtuale a una dimensione rock costruita tramite amarezza e autenticità, risentimento e trasparenza, un attimo prima che il congedo demistificatorio, beffardo e in ogni caso irresistibile dell’ultima Two Characters In Search Of A Country Song — cavernoso honky-tonk dalla leggerezza giustamente esibita — ribadisca come nel ruvido diorama dei Country Westerns, fatto solo di attimi e istanti, sentimenti incontrollati e scosse frenetiche, non ci sia spazio alcuno per proclami o dichiarazioni d’intenti.

Non volendone fare i CW, di esternazioni troppo impegnative, ne azzardo una io, assumendomi tutti i rischi del caso (sia quello del ridicolo, sempre incombente, sia quello di suscitare eventuali dissensi): se cercate un’opera in grado di perforare l’infinita e monotona burocrazia del quotidiano attraverso una rigenerante profusione di energia, e di benefica immaturità, allora Country Westerns è il disco che fa per voi.



    


<Credits>