Western Swings & Waltzes
and Other Punchy Songs: la risposta serena è spesso una risposta
beffarda. Ma qual'è la domanda? Nessuna. Colter Walls'è preso
la briga di dire la sua verità, tradizionale e insieme originale, oggi,
in cui pare chiunque s'aggiunga con vocio urlato alle menzogne di poteri
forti (tali in quanto senza controparti). D'altronde, la platea pachidermica
dei mezzi di comunicazione digitali, di cui in piccolo anche RootsHighway
fa parte, ha portato poco di buono. Certo, redazione e lettori formano
una comunità che, con tono garbato, cerca di fare il possibile per non
trasformarci nel peggio dilagante. Ma basta? Serve? Abbiamo di fronte,
intorno, sopra, sotto, dentro, il germe mostruoso d'una degenerazione
organica indotta, che consta della distruzione del bambino con la famosa
acqua, anzi, del suo annegamento in quell'acqua: distruzione di un'intera
storia, il meglio dell’arte del 900.
Coincidenze (mai tali) della storia, quando è finito il mondo a blocchi,
dal 1990 è partita una reazione per ricondurre all'ordine. E allora si
spiegano i tronfi panegirici di chi s'arrampica sugli specchi per esaltare
musiche senza musica, personaggi drogati di visibilità (e non solo) che
propagandano vuoto pneumatico e “ideali di vita”, ma senza il fascino
scapigliato di Gram Parsons, Jimi Hendrix, Keith Moon, Robbin Crosby...
E della loro foga di lasciare un segno sul mondo. In quelle arrampicate
sugli specchi i giovani ci son cascati senza battere ciglio, dubbi o un'esitazione;
gli adulti non han voglia di contrastare questa discesa negli inferi della
musica, che sembra condannata a diventare un pattume mostruoso tal che,
fra qualche anno, G.G. Allin apparirà pacato come Kant e la Trap ricordata
con nostalgia.
Ma è tutto così? Qualche classifica fa (nei nostri speciali di fine anno,
ndd) su RootsHighway venne fatta un'analisi (la musica popolare ha fatto
il giro e si ricomincia dagli inizi), e ciò viene traslato in musica superba
da Colter Wall. Ecco la risposta a una domanda non fatta da una
società che ha dimenticato la dialettica: un cowboy di mestiere si butta
nella produzione, aiutato nel master da Eric Cohn (lavori con Kentucky
Headhunters e Pegi Young) e sornione fino al limite dell'ironia, confeziona
un capolavoro che mostra un uomo genuino, che racconta storie vere o verosimili
in uno stile che declama anti-modernità salutare e coerente. Il miracolo
della voce di Colter continua a stupire: acquisisce maturità senza sembrare
decrepito, come se Johnny Cash spuntasse dietro il microfono depurato
da ogni droga e dal male di vivere e avesse dato lezioni preziose al nostro,
affinchè potesse sviluppare il suo stile. Il disco? Ballate, confessioni,
contemplazioni, un gruppo d'accompagnatori diretto con maestria incredibile
per un venticinquenne che pare uscito da una sacca temporale che abbraccia
elementi di ruralismo Nordamericano di ogni stile possibile, senza dispersioni
di senso o contenuto.
L'insieme è coeso e funziona, ma se si va di cercare degli apici in questi
suoni caldi e magistralmente definiti, la classicità incalzante di Big
Iron (Marty Robbins), la ballata calda e intimamente commossa
di Henry and Sam, il quasi bluegrass di Rocky Mountain Rangers,
l'atmosfera tenue di Houlihans at the Holiday
Inn, la confessione lavorativa di Talkin' Prairie Boy,
la cadenza distesa dell'omonima, sono alcuni dei brani che svettano su
un insieme uniforme. Il lavoro immenso della chitarra acustica, che luccica
come una seconda voce e soffusi accenni di basso e batteria (una svolta
elettrica nel futuro?), regalano il primo Wall allegro, nonostante tutto
e tutti. In your face, direbbe Lenny Wolf.