Che
la chitarra non fosse l’unica arma a disposizione di Marcus King
ce ne eravamo accorti sin dagli esordi. Quella voce increspata di southern
soul, nutrita da rotondità gospel e ruvidezza country blues aveva le sue
carte da giocare. È proprio intorno a questa caratteristica che il debutto
solista (via la sigla in combutta con la band) di El Dorado
costruisce gran parte del suo fascino d’annata, complice l’intensa collaborazione
artistica con il produttore Dan Auerbach. Il lavoro negli studi Easy Eye
Sound di Nashville, luogo dal quale il chitarrista e leader dei Black
Keys sta spargendo da diversi anni profumi vintage rock rinnovati, marchiando
con personalità parecchie delle sue produzioni, escono dodici episodi
che mettono un po’ in disparte il gesto appariscente del guitar hero,
la predisposizione alla jam strumentale e all’omaggio verso le radici
rock sudiste della South Carolina, terra di origine del giovane Marcus,
preferendo la pienezza degli arrangiamenti, la simmetria delle proporzioni
fra canzone e interprete.
Fuori dalla porta, almeno in parte, i vessilli gloriosi del southern rock,
i fratelli Allman e il pulsare funk ed energico della band, dentro invece
l’amore per il soul, non solo di casa Stax, con rifiniture di archi, organo
e pianoforte, e aggiunta di cori femminili che ondeggiano verso la Motown
e Marvin Gaye, senza dimenticare di farsi influenzare dall’atmosfera di
casa a Nashville, con fragranze country rock che amoreggiano con il funky.
Un turbine di riferimenti vintage, come si conviene all’immaginario di
Auerbach, ma senza snaturare il protagonista, che in fondo ha soltanto
invertito l’ordine dei fattori, ma certo non ha rinnegato le sue ispirazioni:
se infatti le piacione The Well, il primo singolo a trazione Black
Keys (la pulsazione blues rock occhieggia a quello stile riconosciuto)
e Say You Will (la più satura e sudista, addirittura con vaghezze
psichedeliche) mantengono un filo conduttore con il passato, il resto
è assai più interessante e la riprova che Marcus King ha voglia di esplorare
tutte le possibilità offerte dalla sua voce.
Da lì arrivano le sorprese di El Dorado, album che non sappiamo
bene se prometta esattamente il paradiso a cui ammicca il titolo (oltre
ad omaggiare l'omonimo modello di Cadillac), ma certo lascia emergere
i legami familiari con il country soul in Young
Man’s Dream, sorta di dichiarazione d’affetto per la propria
storia personale, sciorinando carezze del tepore di Wildflowers&Wine
e Sweet Mariona, e riservando a One Day
She’s Here, Love Song e No Pain quel romanticismo
dolciastro, intriso di blue eyed soul anni Settanta, sul quale le idee
sonore di Auerbach vanno a nozze e il buon Marcus King veste i panni di
un convincente cantore. A farsi guidare dai suoni (il gruppo che accompagna
Marcus è completato da Bobby Wood alle tastiere, Gene Chrisman alla batteria
e Dave Roe al basso), ogni brano ha qualche dono da offrire, anche quando
il gioco dei rimandi si fa un po’ troppo esplicito: Break
è un guancia a guancia sfacciato fra Marvin Gaye e Stevie Wonder, Beautiful
Stranger attacca con un piano elettrico che pare uscito direttamente
dai tempi d’oro di Muscle Shoals, Turn it Up ribolle di vibrazioni
r&b e funky sudista, mentre Too Much Whiskey gigioneggia con il
country fuorilegge di Waylon Jennings e lo porta in gita a Memphis.
Ventitrè anni e poco più, ricodiamocelo sempre per sottolineare il suo
enorme potenziale, Marcus King dipinge l’intero spettro delle sue radici
di southern boy e dimostra che si può citare, attingere, lasciarsi ispirare
senza perdere un bricolo di carattere.