Marcus King
El Dorado

[Easy Eye Sound/ Universal 2020]

marcuskingband.com

File Under: the soul of a young man

di Fabio Cerbone (21/01/2020)

Che la chitarra non fosse l’unica arma a disposizione di Marcus King ce ne eravamo accorti sin dagli esordi. Quella voce increspata di southern soul, nutrita da rotondità gospel e ruvidezza country blues aveva le sue carte da giocare. È proprio intorno a questa caratteristica che il debutto solista (via la sigla in combutta con la band) di El Dorado costruisce gran parte del suo fascino d’annata, complice l’intensa collaborazione artistica con il produttore Dan Auerbach. Il lavoro negli studi Easy Eye Sound di Nashville, luogo dal quale il chitarrista e leader dei Black Keys sta spargendo da diversi anni profumi vintage rock rinnovati, marchiando con personalità parecchie delle sue produzioni, escono dodici episodi che mettono un po’ in disparte il gesto appariscente del guitar hero, la predisposizione alla jam strumentale e all’omaggio verso le radici rock sudiste della South Carolina, terra di origine del giovane Marcus, preferendo la pienezza degli arrangiamenti, la simmetria delle proporzioni fra canzone e interprete.

Fuori dalla porta, almeno in parte, i vessilli gloriosi del southern rock, i fratelli Allman e il pulsare funk ed energico della band, dentro invece l’amore per il soul, non solo di casa Stax, con rifiniture di archi, organo e pianoforte, e aggiunta di cori femminili che ondeggiano verso la Motown e Marvin Gaye, senza dimenticare di farsi influenzare dall’atmosfera di casa a Nashville, con fragranze country rock che amoreggiano con il funky. Un turbine di riferimenti vintage, come si conviene all’immaginario di Auerbach, ma senza snaturare il protagonista, che in fondo ha soltanto invertito l’ordine dei fattori, ma certo non ha rinnegato le sue ispirazioni: se infatti le piacione The Well, il primo singolo a trazione Black Keys (la pulsazione blues rock occhieggia a quello stile riconosciuto) e Say You Will (la più satura e sudista, addirittura con vaghezze psichedeliche) mantengono un filo conduttore con il passato, il resto è assai più interessante e la riprova che Marcus King ha voglia di esplorare tutte le possibilità offerte dalla sua voce.

Da lì arrivano le sorprese di El Dorado, album che non sappiamo bene se prometta esattamente il paradiso a cui ammicca il titolo (oltre ad omaggiare l'omonimo modello di Cadillac), ma certo lascia emergere i legami familiari con il country soul in Young Man’s Dream, sorta di dichiarazione d’affetto per la propria storia personale, sciorinando carezze del tepore di Wildflowers&Wine e Sweet Mariona, e riservando a One Day She’s Here, Love Song e No Pain quel romanticismo dolciastro, intriso di blue eyed soul anni Settanta, sul quale le idee sonore di Auerbach vanno a nozze e il buon Marcus King veste i panni di un convincente cantore. A farsi guidare dai suoni (il gruppo che accompagna Marcus è completato da Bobby Wood alle tastiere, Gene Chrisman alla batteria e Dave Roe al basso), ogni brano ha qualche dono da offrire, anche quando il gioco dei rimandi si fa un po’ troppo esplicito: Break è un guancia a guancia sfacciato fra Marvin Gaye e Stevie Wonder, Beautiful Stranger attacca con un piano elettrico che pare uscito direttamente dai tempi d’oro di Muscle Shoals, Turn it Up ribolle di vibrazioni r&b e funky sudista, mentre Too Much Whiskey gigioneggia con il country fuorilegge di Waylon Jennings e lo porta in gita a Memphis.

Ventitrè anni e poco più, ricodiamocelo sempre per sottolineare il suo enorme potenziale, Marcus King dipinge l’intero spettro delle sue radici di southern boy e dimostra che si può citare, attingere, lasciarsi ispirare senza perdere un bricolo di carattere.


    


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