Dopo la separazione dai Drive-By Truckers nel 2007,
dovuta principalmente ai suoi problemi di dipendenza dagli alcolici e
dalla cocaina, Jason Isbell ha inciso tre dischi con The 400 Unit,
pur cadendo sempre più in basso da un punto di vista fisico e mentale.
Solo la forza di volontà, l’aiuto della famiglia e il matrimonio con la
cantante e violinista Amanda Shires lo hanno salvato. Non è un caso che
l’acclamato Southeastern
sia uscito nel 2013, alla fine di un cammino di riabilitazione iniziato
nel febbraio dell’anno precedente a Nashville. Sobrio da otto anni, proprietario
della sua musica, che pubblica sulla label personale, consapevole che
dopo avere venduto 50.000 copie inizia a guadagnare (e nonostante il mercato
di oggi, in dieci giorni riesce sempre a farlo), con una casa nella campagna
di Franklin in Tennessee, una moglie che lo segue spesso anche in tour
e una figlioletta, Isbell ha ritrovato in pieno la serenità, senza perdere
forza e vigore nel suo modo di scrivere.
Anzi, proprio l’esperienza personale è diventata l’argomento principale
della sua scrittura, una delle più profonde tra i cantautori roots dell’ultimo
decennio. Something
More Than Free ha confermato le sue doti non comuni, The
Nashville Sound e Live From The Ryman forse hanno un po’ deluso,
specialmente il disco dal vivo inferiore al precedente Live From Alabama,
ma Jason è uno dei pochi artisti di questo genere in crescita di consensi
e di visibilità. Il produttore Dave Cobb, che lo accompagna ormai da alcuni
anni, ha dichiarato a proposito della sua scrittura: “si comporta come
se stesse scrivendo sempre l’ultima lettera della sua vita”. Ed è proprio
questa la caratteristica migliore di Jason: si mette completamente a nudo,
è sincero fino in fondo ed ha una voce magnifica con un fondo di malinconia
che sembra portarsi dietro i dolori e gli errori di una vita.
Reunions è il settimo disco in studio, nuovamente registrato
con i fedeli 400 Unit, aperto dall’intensa What
I’ve Done To Help avvolta dalle tastiere di Derry De Borja
e percorsa dalla morbida slide di Sadler Vaden. Un brano ricco di pathos,
molto curato nel suono e nell’arrangiamento, ripetitivo nel testo, con
una crescita strumentale alla quale partecipano le voci di David Crosby
e Jay Buchanan (Rival Sons). L’elettroacustica Dreamsicle
rallenta subito il ritmo seguendo le coordinate preferite negli ultimi
dischi pieni di ballate sofferte, con il violino e la voce di Amanda che
sottolineano una storia di rapporti famigliari problematici, seguita dalla
soffusa e riflessiva Only Children. Se Overseas accelera,
pur attraversata da un filo di malinconia, il mid-tempo Running With
Our Eyes Closed non convince pur non avendo nulla fuori posto. Ma
Jason sembra più adatto ai tempi lenti, quelli della pianistica River,
dell’intima e dolente St. Peter’s Autograph
e della conclusiva Letting You Go spolverata di country, sebbene
non sfigurino le altre due tracce, la frenetica Be Afraid e la
robusta It Gets Easier, molto personale nel testo che racconta
le sensazioni di un alcolista in lotta con il desiderio di trasgredire
una volta di più.
In una recente intervista l’artista di Green Hill, Alabama ha dichiarato:
“se avessi suonato negli anni Settanta, probabilmente sarei stato una
star e avrei guadagnato molto di più. E sarei morto, non sarebbe finita
bene. Voglio dire, di più non vuol dire sempre meglio”. Il ragazzo è cresciuto,
per fortuna è sopravvissuto e saprà sicuramente produrre altro materiale
all’altezza di questo Reunions.