È una rete metallica a “separare”
dal sogno americano, pensato per altri, non per quei ragazzini. Ma potrebbe
essere anche un filo spinato, oppure un muro da costruire alla frontiera.
Il potente scatto di Gordon Parks - storico fotografo della rivista Life,
regista (è l’uomo dietro il successo di Shaft) e attivista per il Movimento
dei diritti civili scomparso nel 2006 - è un messaggio esplicito e riassume
il travaglio di Mavis Staples in We Get By. Lei, raggiunto
il traguardo degli ottant’anni, dichiara fiera di non essersi mai sentita
così forte. È ancora una messaggera, una voce che si è bagnata fin da
bambina nelle acque del gospel e del soul per far emergere parole di speranza
e lotta, come le insegnarono il padre Pops Staples e il reverendo Martin
Luther King, senza cedere un passo davanti a prevaricazioni e ingiustizie.
Proprio nel 2017 Mavis ha avuto l’onore di ricevere il Gordon Parks
Foundation Award, per il suo impegno civile trasmesso in musica, e
da qui si sono dipanati i fili che arrivano oggi alla copertina di We
Get By, una foto che fa parte della serie intitolata “The Restraints:
Open and Hidden”, ma soprattutto sono emerse le strade che hanno messo
in comunicazione la sua capacità interpretativa con le liriche scritte
per lei da Ben Harper. È infatti il chitarrista e autore californiano
ad assumersi il ruolo di songwriter e produttore del disco, dovendosi
confrontare, tra gli altri, con giganti come Ry Cooder e Jeff Tweedy,
che in passato avevano ridato slancio alla carriera di Mavis. Harper sceglie
il percorso più naturale e asciutto possibile: un suono live catturato
negli studi di Hollywood, con i musicisti più familiari per la Staples,
la sua touring band formata dal chitarrista Rick Holmstrom e dalla sezione
ritmica di Stephen Hodges e Jeff Turmes.
Il groove è brusco e diretto fin dall’apertura di Change,
boogie che sprona al cambiamento in un’America irriconoscibile, pronta
a ricadere negli stessi terribili errori del passato. La timbrica di Mavis
è più scura e certo gravata dall’età, ma è capace di reinventarsi, anche
grazie al sostegno delle voci di Donny Gerrard, Laura Mace e CC White,
che all’occorrenza soffiano sulle trame funky soul dei brani, dalla pulsante
Anytime all’inconfodibile tremolio swamp, direttamente mutuato
dallo stile degli Staples Singers, in Sometime
e Stronger. Tra preghiera e risveglio delle coscienze, Mavis ci
crede ancora: canta perché l’anima della gente si trasformi, per il volgere
positivo dei sentimenti e di un messaggio che unisca invece di dividere.
Sa bene cosa significhi segregazione Mavis Staples, che ha trovato nei
testi appositamente scritti e pensati per lei da Ben Harper una convincente
comunione di intenti, tanto da completare l’album con entusiasmo a pochi
mesi dall’ultima celebrazione dal vivo.
La coppia artistica duetta èroprio in We
Get By, limpida ballata soul che bene si affianca alla coda
finale del disco, che lentamente si fa più riflessiva, dall’orgogliosa
Chance on Me, trafitta dal breve e tagliente solo di Holmstrom
alla chitarra, al cullare fiducioso di One More
Change, ideale chiusura del cerchio, lì dove eravamo partiti.
We Get By possiede forse meno sorprese sonore e invenzioni rispetto
alla collaborazione con il citato Jeff Tweedy, ma nel disciplinato approccio
di Harper e dei musicisti sembra tributare il giusto peso alla storia
stessa di Mavis Staples, alla sua dimensione di testimone civile di quell’America
che non si piega di fronte all’odio.