File
Under: western cinematic songs
di Pasquale Boffoli (18/06/2019)
Dopo l’autocelebrazione di
una carriera esaltante - il più che esauriente doppio CD dal vivo Springsteen
On Broadway, uscito nel dicembre del 2018 - il settantenne artista
(a settembre) è tornato in studio con la produzione di Ron Aniello, lo
stesso dei due lavori immediatamente precedenti, High
Hopes e Wrecking
Ball. “…Western Stars è un ritorno ai miei album solisti” aveva
dichiarato Bruce Springsteen qualche mese prima dell’uscita: in
effetti, in questo nuovo lavoro splendide lente ballate improntate ad
un raccoglimento quasi mistico (Stones, Moonlight Motel,
Somewhere North of Nashville) non possono non rimandare all’elegiaca
ispirazione di capolavori springsteeniani in solitario come Nebraska
(1982), The Ghost Of Tom Joad (1995), se non addirittura alla conturbante
depressione urbana di Darkness on the Edge of Town (1978), per
esempio con Chasin’ Wild Horses.
Ma Western Stars è prima di tutto il capolavoro terzo millennio
di un autore alla ricerca di spazi sonori sconfinati, ariosi, avvolgenti:
per approntarli recupera modalità seducenti di un pop americano passato
e dimenticato, sconosciuto ai più; abdica fieramente, senza rimpianto
alcuno, al cotè elettronico e artificiale che stupra tanta musica contemporanea,
in nome di fascinosi arrangiamenti orchestrali per archi (violini, viola,
cello) e fiati (tromba, trombone, french horn, flauto, oboe) che sposano
essenziali sprazzi di chitarre steel, acustiche, pianoforte. Venti musicisti
multi-strumentisti più gli stessi Springsteen e Aniello alle prese con
molteplici arnesi sonori. E così, in questa rincorsa al sunshine pop e
alla canzone perfetta di metà anni ’60 californiani prodighi di orchestrazioni
lussureggianti, Springsteen tira fuori una novella Everybody's Talkin’
- Harry Nilsson dipendente Hello
Sunshine, una palpitante There
Goes My Miracle, una commovente title-track, una Sundown
che conquista sensi e anima.
Un'avvertenza: stiano alla larga da Western Stars i fans "rancorosi"
del vecchio Springsteen, quello epico e guerrigliero di Born To Run,
The River, Born in the U.S.A., e delle lunghe scorribande
live. Qui siamo alle prese con la saggezza senile, la maturità compositiva,
il carisma vocale avvolgente, l’afflato corale di un uomo generosissimo
con il songwriting rock americano del secondo millennio.