Willie Nelson
Ride Me Back Home
[
Legacy/ Sony
2019]

willienelson.com

File Under: another ride with Willie

di Fabio Cerbone (15/07/2019)

A un uomo di ottantasei anni, con sessanta stagioni abbondanti di carriera alle spalle e alla soglia dei settanta (settanta!) album ufficiali, di fatto un’icona assoluta della musica americana, possiamo sinceramente rimproverare qualcosa? Lo dico con un po’ di imbarazzo, perché ad essere proprio pedanti si potrebbero anche muovere delle critiche al qui presente Ride Me Back Home, un disco che alterna ispirazione e mestiere (e come altrimenti?), momenti di illuminazione e altri dove la vecchia pellaccia di Willie Nelson porta a casa il risultato con il minimo sforzo, tra l’altro ricorrendo più del solito a materiale altrui.

Ciò nonostante, e questo è il punto essenziale, cambierebbe qualcosa in prospettiva? Non si tratta solo di “un altro album di Willie Nelson”, ma anche dell’atto conclusivo di una trilogia, avviata con lo scuro God’s Problem Child e proseguita con il più vivace Last Man Standing, che si fa beffe della morte, le si avvicina di soppiatto, ci scherza su e ne affronta l’incertezza con il piglio assennato dell’uomo e dell’artista che ha visto e vissuto tutto. Allora siamo più disposti a perdonargli qualche scivolone, quel suo lambiccarsi con l’eleganza della canzone a cavallo tra jazz e sofisticato pop (Stay Away From Lonely Places, uno degli episodi che portano la sua firma, brano del 1972 ripescato per l’occasione), addirittura rivisitando il Billy Joel di Just the Way You Are, oppure swingando a tempo di blues club in Seven Year Itch.

Se questo è il prezzo da pagare per avere due inaspettate e splendide cover di Guy Clark - la dolcissima dedica d’amore di My Favorite Picture of You e una Immigrant Eyes che non possiamo fare a meno di credere sia una esplicita scelta “politica” – allora ben venga questo Nelson più appagato e istrione, ancora una volta supportato dalla produzione del fedele Buddy Cannon, qui capace di firmare insieme a Willie la tenera confessione di One More Song to Write… Che suona un po’ come un’ammissione di colpa, positiva, disincantata, e ci piace pensare che Willie continuerà a farlo fino a che avrà fiato. D’altronde, la sua voce non è scalfita, ha tutta l’esperienza per sapersi gestire e qui sfodera ogni tanto il suo vestito da outlaw, le radici piantate in Texas e nell’honky tonk con Come on Time e la spassosa It’s Hard to Be Humble, brano di Mac Davis che vede la presenza dei figli Lukas e Micah ai cori.

Capolavori e gemme nascoste forse mancano all’appello, ma la stessa Ride Me Back Home è una ballata da sciogliersi davanti al fuoco del campo, Nobody’s Listening un soffio di romantica disperazione, Maybe I Should Have Been Listening (altro classico rivisitato di Buzz Rabin) un degno congedo da attore scafato. E allora Ride Me Back Home è solo un’altra tacca sull’albero della vita di Willie Nelson, e avanti così.


    


<Credits>