Complicato
descrivere un nuovo album di Van Morrison. Primo perché lui, “The
Man”, il vocalist irlandese di Belfast, è una delle voci più belle del
rock degli ultimi 50 anni; secondo, perché ha pubblicato 46 dischi, esclusi
i live e le raccolte; e infine, perché la sua prolifica vena compositiva
degli ultimi due anni ha prodotto la bellezza di 6 album (!), e perciò
cosa possiamo scrivere ancora sulla sua arte e sulle sue opere? Poco o
nulla, i dischi di Van si prendono a scatola chiusa, si mettono sul giradischi
e li si lasciano andare via: è tutta splendida musica, anche senza sorprese.
Da un'intervista rilasciata recentemente Van giustifica (ma ben vengano,
grazie a Dio) la frequente pubblicazione di dischi con l’impellente urgenza
di registrare musica, che partorisce a getto continuo (beato lui!), così
come è intensa la sua attività live (a 74 anni), che lo ha visto davvero
molto attivo di recente sia in Inghilterra, sia negli USA.
La grinta, lo script e l’intensità delle interpretazioni anche in questo
ultimo lavoro è forte e riconoscibile, fossero anche solo “tre accordi”
(dalla famosa frase attribuita all'autore country Harlan Howard, ndr),
la sua “verità” è attuale e vibrante, e diventa impossibile trovare difetti
a quest’uomo, che adoro (ma questa è una debolezza che mi porto dietro
dal liceo), al contrario, rimango stupito dalla bellezza delle sue canzoni,
che pur essendo sempre simili, possiedono quel qualcosa di unico, che
è la sua traccia, la sua orma, straordinaria, pulsante, vitale e riconoscibile
da sempre. Van Morrison suona la stessa musica - la sua musica - dai primi
anni 70 ad oggi, con piccole variazioni sul tema, normalmente affidate
agli ospiti che via via sono entrati a far parte nel suo mondo (vedi Brian
Kennedy, Georgie Fame, Joey De Francesco, etc), macinando ballate, soul,
folk, RnB, jazz, rock e tanto blues, tutte varianti musicali presenti
anche su Three Chords and the Truth.
L’ultima fatica di Morrison, dal titolo esplicativo, è un gran disco,
a mio parere uno dei capolavori dei suoi ultimi dieci anni di carriera,
che scorre liscio e passionale, sia per la qualità dei brani, esattamente
sovrapponibili allo stile anni 70 che lo distinse, sia per la grana tecnica.
Ed è anche registrato molto bene, sembra quasi in presa diretta per esplosività
e freschezza, impensabile per un artista che ne ha già fatti quarantasei!
I musicisti sono i soliti, con la chicca del suo primo compagno di "viaggi
astrali", il chitarrista Jay Berliner.
Compiere un'analisi dei quattordici brani è davvero esercizio sterile:
ricordo solo il duetto con Bill Medley in Fame
Will Eat The Soul, i testi di Don Black in If We Wait For
Mountains, che aggiungono qualche colore in più ai sapori che abbiamo
imparato a conoscere da tempo, e che si tratta di composizioni tutte nuove,
originali. I brani che comunque mi hanno maggiormente ammaliato sono quelli
più bluesy, genere che - pur essendo da sempre un suo tratto distintivo
- specialmente negli ultimi album ha caratterizzato in modo massiccio
la trama sonora delle sue composizioni (originali e cover), tra queste
You Don’t Understand, Nobody in Charge e la stupenda title
track Three Chords And The Truth.
Van resta un eroe delle nostra musica e Three Chords and the Truth
è disco da avere. Punto.