Lankum
The Livelong Day
[
Rough Trade
2019]

lankumdublin.com

File Under: modern irish folk

di Davide Albini (02/01/2020)

 

Nati a Dublino alla metà del decennio su iniziativa dei fratelli Ian e Daragh Lynch, i Lankum sono una delle creature più affascinanti che la musica folk abbia regalato di recente. Il loro approccio alla materia è tradizionale e rivoluzionario al tempo stesso, recuperano antiche ballad della cultura irlandese per offrirgli nuovi significati, nei suoni e nelle atmosfere. Qualcuno li ha superficialmente accostati per spirito al gesto punk dei connazionali Pogues, ma state attenti perché The Livelong Day, il secondo album che la band incide per la Rough Trade, è ben lontano dalla trascinante energia e festosità che sprigionava il gruppo di Shane McGowan. Qui aleggia semmai una latente oscurità e anche un certo senso di mistero e tensione, che contaminano le radici musicali della loro terra con elementi di psichedelia, di cosiddetta drone music, ripetitiva ed enigmatica, mentre l’utilizzo delle voci è spesso l’elemento più etereo e cristallino all’interno delle loro melodie.

Una vera sorpresa, a patto di aprirsi con curiosità a questi brani, che sono spesso dilatati nella durata, con note e accordi circolari e ossessivi, come se ci trovassimo davanti a dei giovani Velvet Underground cresciuti in un quartiere di Dublino invece che a New York. I Lankum sembrano chiederci un ascolto attento, se siamo disposti a farci trascinare in quei luoghi segreti, oserei dire sacri, che riescono ad evocare attraverso la loro musica. Originariamente denominati The Lynched, da un semplice gioco di parole con i loro cognomi, sigla sotto la quale hanno inciso un paio di lavori indipendenti, Ian e Daragh hanno poi cambiato nell’attuale Lankum (in onore di una famosa ballata del cantastorie irlandese John Reilly), stabilizzandosi nel quartetto con Cormac MacDiarmada e Radie Peat, quest’ultima anche seconda voce solista. I dieci minuti della cavalcata The Wild Rover, storico brano della tradizione irish, ci raccontano parecchio del fascino sinistro di un disco come The Livelong Day. L’arrangiamento ricreato dai Lankum è un capolavoro, forse già il vertice dell’album, e ci trascina in un turbine di melodie vocali e di suoni arcaici dettati dall’uso non convenzionale di Uilleann pipes, harmonion, concertina, violino e percussioni, quelli che si riveleranno poi gli strumenti più caratterizzanti del modo di approcciare la materia folk da parte della band.

Il timbro vocale di Radie Peat, un incantesimo, richiama le grandi protagoniste del genere, ma ha peculiarità tutte sue, come d’altronde gli stessi Lankum, che per The Livelong Day mettono in sequenza otto brani, di cui soltanto due originali e il resto pescato dalla memoria nazionale, con un meticoloso lavoro di ricerca. Dolcissima e straniante è la melodia di The Young People, uno dei due episodi autografi insieme al finale di Haunting the Wren, quest’ultima una ballata dai rintocchi letargici e dal senso epico, come buona parte di queste canzoni. Di raccordo troviamo anche alcuni strumentali, che si stingono in una musica quasi onirica, come accade in Ode to Lullaby, traccia che si risolve senza soluzione di continuità nella successiva Bear Creek, vera e propria giga irlandese che monta di intensità nell’impazzare del violino e della concertina. Katie Cruel, ancora Radie Peat al canto, è la più sinistra canzone dell’album, che restituisce veramente qualcosa di arcano, e bene si accosta allo strumentale The Pride of Petravore, con le sue leggere dissonanze e l’andatura “mostruosa” e punkeggiante che pare deragliare nel finale. Ma proprio quando i Lankum sembrano averti stretto alla gola in una morsa, ecco fare da contraltare la semplicità quasi fanciullesca di certe antiche melodie, quella che emerge per esempio in The Dark Eyed Gipsy.

L’intero disco è ammantato come da una sorta di flusso di coscienza musicale: i Lankum restano sospesi fra passato e presente, attualissimi però nel riappropiarsi del linguaggio folk e in grado di restituircelo ancora vitale.


    



<Credits>