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Under: A period of transition
di Nicola Gervasini (02/10/2019)
Se ogni artista possiede
nella propria vita un momento di massima ispirazione facilmente identificabile,
è naturale che esista poi il ritorno alla normalità. E se nel momento
del decollo è facile scriverne bene, ben più difficile è valutare bene
l’entità della discesa. Che può essere graduale, o diventare una pericolosa
picchiata. La nostra webzine è piena di band americane che ci hanno regalato
il disco giusto per poi spegnersi lentamente disco dopo disco (penso ai
Dawes, per esempio), o di nomi che invece si sono sgonfiati nel giro di
un disco (siamo freschi della grande delusione degli Hollis Brown, secondo
esempio). Il caso degli Hiss Golden Messenger direi che a partire
da questo album fa parte della prima categoria, perché Terms Of
Surrender semplicemente non suona così importante e riuscito come
i suoi due predecessori Heart
Like a Levee e Hallelujah
Anyhow, ma siamo ancor ben lontani fortunatamente dal parlare
di una piena delusione.
Mc Taylor, ormai rimasto l’unico motore del progetto, continua la sua
strada di una americana-music perfettamente in bilico tra antico e moderno,
e si conferma come una delle penne migliori di nuova generazione, tanto
che ancora mi chiedo perché non sia riuscito a farsi riconoscere
degnamente anche fuori dal mondo dei fans della roots-music, come magari
è successo ad altre band contemporanee, ad esempio i Phosphorescent. Nessun
vero problema qui, se non una prevedibile normalizzazione del loro suono,
evidente fin dall’uno-due-tre iniziale di I Need
A Teacher, la quasi remmiana Bright Direction (You’re A
Dark Star Now) e My Wing, brani
che a passarli in radio ti fanno anche canticchiare e battere il piedino
(magari non sul pedale, mi raccomando). Poi il disco però prende una piega
più sperimentale, ma Old Enough To Wonder Why (East Side – West Side)
non va oltre l’essere curiosa fin dal lungo titolo, mentre Cat’s Eye
Blue proprio non decolla, e quando riprendono il ritmo, arrivano pop-song
abbastanza vacue come Happy Birthday Baby o Katy (You Don’t
Have Yo be Good Yet), che vanno a cercare anche i Jayhawks del periodo
Sound Of Lies/Smile probabilmente.
Insospettisce anche il suono, con la batteria grossa quasi anni 80 tornata
di moda in questi anni Dieci in bella evidenza, e quel piglio un po’ dark
alla War On Drugs che hanno adottato in troppi ormai per non far pensare
ad una scelta volutamente “mainstream”. Fortunatamente gli Hiss Golden
Messenger hanno le spalle abbastanza larghe per reggere artisticamente
anche un disco magari un po’ più “furbetto”, e quando tornano sui passi
di una lenta folk-song elettrica come Down at
The Uptown o nel dark-country di Whip, sanno sempre
come far quadrare le cose. Da avere per fans e completisti, ma se volete
conoscere la loro musica non partite da qui.