Non si è ancora del tutto
dissipato il velo di tristezza dovuto alla tragica scomparsa di Neal
Casal, infaticabile "operaio" del rock che si è tolto
la vita lo scorso agosto, che ecco arrivarci quello che forse è il suo
ultimo lavoro completo in studio - Let it Burn, inciso con i GospelbeacH
- a riprova del fatto che lui era sempre lì, con la sua chitarra in mano,
due turni straordinari inclusi, ad aiutare, a portare avanti il verbo
del rock n roll americano. Questo è il terzo album per la band di Los
Angeles, composta, oltre che dal compianto Neal Casal (CRB, The Cardinals)
ovviamente alle chitarre e seconde voci, da Brent Rademaker (fondatore
anche dei Beachwood Sparks) alla voce e chitarra, Tom Sanford alla batteria,
Kip Boardman al basso e Jason Soda alla chitarra.
Le influenze sono tutte nella West Coast, dalle latitudini di grandi jam
band alla Grateful Dead, al classic rock di Tom Petty & The Heartbreakers
per intenderci, senza perdere però lo sparkle e il calore della costa
opposta. Il risultato è interessante, seppure a tratti altalenante: certo
Brent Rademaker non è né Chris Robinson alla voce né Ryan Adams, troppo
pulita e troppo poco “gospel”, la musica della band è un trip jammato
sulla costa pacifica degli States, ma se si ripercorre filologicamente
il genere, si rischia di venire immediatamente paragonati ai grandi mostri
sacri e il risultato ovviamente non può finire né in pari, né tantomeno
con una vittoria. Let It Burn passa in rassegna i Grateful Dead più melodici
in ballate come Bad Habits, il rock
appunto di stampo Heartbreakers come Dark Angel,
passando per l’honky tonk in I’m So High fino ai rimandi al primo
Neil Young in Baby (it’s all your fault), dove per un istante l’orecchio
ci fa uno scherzo e ci aspetteremmo di sentire l’attacco... “Well, I dreamed
I saw the knights in armour coming,Sayin' something about a queen”...
I richiami dell'amata West Coast però passano anche per David Crosby,
Jackson Browne, Fletwood Mac e tutte le influenze del principale autore
dei brani, Rademaker. La chitarra di Neal Casal è sempre in bella evidenza,
soprattutto nelle code jammate, intrecciandosi con le altre chitarre,
la lap steel, il piano e l’organo, creando il tessuto sonoro che ha sempre
caratterizzato la sua produzione, anche se Brent Rademaker non brilla
per espressività e le canzoni non riescono sempre ad essere di grande
spessore (come avviene invece in Nothing Never Changes), anche
con qualche passo falso (Get it Back, The Fighter). Sicuramente
Neal Casal ha dato tanto alla musica e il peso della sua mancanza si sentirà
profondamente. Let It Burn non è sempre il modo migliore
per ricordarcelo, ma per fortuna contiene tanti spunti musicali con cui
consolarci della sua assenza.