Come si può raccontare l’America
del 2019 senza cadere nella mera indignazione per tutto quanto di male
il trumpismo sta creando negli Stati Uniti, e, di riflesso, in tutto il
mondo? Se lo è chiesto Ian Felice all’indomani di una serie di album più
che interessanti che hanno tenuto viva la sigla dei Felice Brothers
in questi anni Dieci, dischi intimi dove l’Io ricorreva più del Noi. Ma
poi arriva per tutti il momento in cui il pericolo “là fuori” si fa sentire,
e così anche per i Felice Brothers è tempo del classico “disco politico”.
Che parte subito con una title-track che la butta subito in satira, con
un’America spogliata dai suoi timonieri, impegnati in un’orgia di potere
in cui si arriva a immaginare un “french kiss” tra il Presidente e il
suo vice, mentre governano un parlamento fatto di “conservatori con il
bavaglino per l’aragosta e deputati innescati come una bomba” alla faccia
dei problemi mondiali.
Ci vanno giù duro insomma in questi dodici racconti, e sarà forse anche
per la forza della disperazione, finiscono a produrre il loro disco più
fresco e immediato. La produzione predilige il live-sound ed evita l’essenzialità,
con largo uso di fiati, cori e soluzioni che vanno oltre l’intimo alternative-folk
di certe loro vecchie canzoni (si prenda ad esempio il maestoso arrangiamento
di Salvation Army Girl). Disco da
suonare davanti ad una larga folla che abbia voglia di cantare nuovi mantra
social come “risparmia soldi per diventare Presidente, e sarai gradito
a tutti i finanzieri, a tutti i matti della società e a tutti i mafiosi
che mangiano lentamente in stanze poco illuminate” (Special Announcement).
Testi diretti e taglienti, ma anche più criptici come Holy Weight Champ,
o amari come la finale Socrates, dove
Felice si immagina il filosofo greco ai giorni nostri, condannato a morte
“per aver scritto canzoni” (“Salute al tiranno, Salute allo stato moderno,
Quando mi legheranno al palo, Che grande evento farò, Tutti i rating saliranno!”).
Molto bella la ballata centrale Poor Blind Birds,
vero epicentro pessimista dell’album (“Siamo solo poveri uccelli ciechi,
e il mondo non è mai quello che appare a dei poveri uccelli ciechi”) e,
come è facile immaginare, è l’ingannevole filtro dei media a finire spesso
sul banco degli imputati per una tale crisi dell’intelligenza umana (TV
Mama).
Ottimamente prodotto dal collaboratore di lunga data Jeremy Backofen,
con non pochi session-men a coadiuvare la fisarmonica di James Felice
e la sezione ritmica di Will Lawrence e Jesske Hume, Undress
è un album da leggere e rileggere ancora prima di essere ascoltato. Se
Bob Dylan notava che anche il Presidente degli Stati Uniti prima o poi
si trova nudo, i Felice Brothers ci fanno notare che oggi lo siamo tutti,
e che i vestiti che ci dimentichiamo di mettere sono quelli della consapevolezza
di quanto oltre che persone, siamo soprattutto cittadini di un unico mondo.