Canzoni di rinascita, umana
e artistica, per questa autrice texana. Canzoni per curare un’anima ferita
e per ritrovare la via di casa e quella passione che l’aveva mossa ad
inizio carriera. Così presenta il suo nuovo lavoro Bonnie Bishop,
nome da qualche anno balzato all’attenzione dei colleghi (che ne hanno
cercato le canzoni, tra questi Bonnie Raitt, la cui versione di Not
Cause I Wanted To ha fatto guadagnare un Grammy alle stessa Bishop)
e dei produttori giusti (Dave Cobb ha curato il precedente Ain’t Who
I Was, album del 2016 che non ha avuto la fortuna commerciale sperata),
mai veramente esplosa come artista di punta nel circuito Americana, nonostante
tutti i meriti acquisiti sul campo.
Difficile immaginare se il qui presente The Walk riuscirà
ad invertire la rotta, ma sono certo che la produzione del veterano Steve
Jordan (grande batterista con un curriculum infinito, da Buddy Guy
a Keith Richards, da Robert Cray a John Schofield) garantisce sul risultato
finale, presentandoci un’intensa voce al crocevia tra country, soul e
radici gospel, sette brani (alcuni di estesa durata, oltre i sette minuti)
che liberano il potenziale di Bonnie Bishop come interprete di se stessa
e non più soltanto come songwriter scritturata dall’industria di Nashville,
quella stessa Nashville da cui dice di essere fuggita, facendo ritorno
ad Austin, lì dove la sua avventura musicale era partita suonando fra
piccoli club e honky tonks. Love Revolution
annuncia il cammino, le liriche semplici, accorate ma personali, che coinvolgono
aspetti anche cupi e tormentati dell’artista, la quale ha attraversato
dipendenze, non solo psicologiche, che ne hanno messo in crisi l’esistenza.
La guarigione sta dunque nella consapevolezza dei propri errori, mostrati
nella ballad dai toni sudisti Women at The Well, ma soprattutto
nel languido soul blues di I Don’t Like to be
Alone, l’unico brano firmato in solitaria da Bonnie, che in
altre occasioni collabora alla stesura con Gabe Dixon, Emery Dobyns e
Rebecca Lynn Howard.
Si accennava all’anima southern che emerge con prepotenza in questo The
Walk, dove Jordan ha esaltato il groove, gli aspetti soul dello stile
e della voce della Bishop, qui in evidente debito con la stessa Bonnie
Raitt o con la più dimenticata, ma fondamentale, Bobbie Gentry (tutto
da sentire questo legame attraverso la sensuale Keep on Moving).
White soul quindi, con un briciolo di country nelle vene e parecchio ritmo
funky e caloroso gospel nelle ossa: gli episodi si susseguono spesso senza
soluzione di continuità, un’esperienza sonora che la stessa Bishop ha
concepito come un unico messaggio, infarcito del tipico laid back sudista
e da un sapiente utilizzo delle parti vocali di sostegno, che soffiano
sulla melodia di The Walk, sospirata e capace di ammodernare il
linguaggio country gospel, mentre Every Happiness
Under the Sun è un agitato, focoso intruglio di percussioni
e funk. Il cammino non può che concludersi con l’inno di rinnovata coscienza
personale di Song Don’t Fail Me Now,
intro pianistica e bagno di chitarre e organo in un crescendo vocale da
effetto southern soul assicurato. Bel disco signora Bishop.