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rootsy covers di
Matteo Fratti (07/09/2018)
Un
album di cover non si nega a nessuno; soprattutto se questi è qualcuno come William
Elliott Whitmore, che non sentivamo da un pezzo (del 2015 il suo precedente
Radium Death)
ma di cui la mancanza in ambienti come il nostro si fa concreta, allorché ci domandavamo
chissà che fine ha fatto. E se ce lo siamo chiesti è perchè il personaggio in
qualche modo ha lasciato il segno, con la sua musica scarna e ridotta all'osso
come venisse da un'altra epoca, una manciata di dischi licenziati nel nuovo millennio,
come da un vecchio 78 giri di blues o da quel monumentale riferimento del canzoniere
popolare americano che è l' Anthology of American Folk Music.
Che avesse
una fattoria da mandare avanti (ereditata dai suoi a Lee County, nell'Iowa) lo
sapevamo, per cui prendersi qualche tempo al passo con le stagioni prima del ritorno
al grande pubblico per un agricoltore del Midwest, potrebbe essere anche naturale.
Fatto sta che lo aspettavamo e dato che siamo lontani anni luce dall'Iowa, ci
siamo persi il lavoro per cui lo conosciamo principalmente. Qualche video su youtube
ha fatto sì però che qualcuna delle presenti "renditions" ci risultassero familiari,
visto che probabilmente il nostro ha continuato nei suoi dintorni a cantare della
vita di tutti i giorni, di una straordinarietà del quotidiano in quella modalità
espressiva tanto più popolare quanto è naturale la raccolta dei prodotti della
terra, dai campi del Midwest alle piantagioni del Sud. Niente di così bucolico
comunque, se ci mettiamo l'inquinamento e il fatto che tanta parte dei nostri
spazi ormai ce li siamo giocati. Ma la forza della musica ci rimane anche per
questo e non è un caso che tanto nel video della hit Healing To Do che
lanciava il penultimo album, come in questo (Busted),
d'inverno o d'estate, degli amici si ritrovano per suonare insieme: qualcosa che
ha un po' un'aria domestica, "downhome" si direbbe, come quel che ne viene fuori,
che è anche il sound di Kilonova.
Sicché come una stella,
questa decina di pezzi splendono di una luce diversa nelle versioni di Whitmore
coi suoi pards, che fanno di questa raccolta una reinterpretazione in chiave del
tutto personale di una track-list che pesca in ciò a cui il nostro è più legato,
una storia musicale soggettiva approdata al momento clou di reinvestire il proprio
patrimonio, trasformandolo in qualcosa di originale. Ecco perché quando ascoltiamo
Fear Of A Trains dei Magnetic Fields come Hot
Blue And Righteous degli ZZ Top, ci ritroviamo una novità da qualcosa
di datato e al contempo un che di vecchio da qualcosa di nuovo. Perché, se ciò
non vale per delle bellissime versioni più in linea con la vena artistica cui
si ispirano (già la nota Busted di Harlan Howard, ma anche Five Feet
High And Rising di Johnny Cash o Run Johnny Run di Jimmy Driftwood)
cose come pure Don't Pray On Me dei Bad Religion
trovano una dimensione arcaica e mai artefatta, si evolvono pur tornando alla
dimensione embrionale e originaria da cui avrebbero potuto nascere (e sono indirettamente
nate) quale evoluzione di un repertorio popolare statunitense.
E finché
i nuovi poteri lo consentiranno, da un meltin'pot internazionale per cui continua
a ruggire la voce di Whitmore, come il fantasma di un nuovo hobo americano. Ce
lo ricorda la sua firma con la chicagoana Bloodshot e un disco di rinate canzoni,
niente affatto il ritorno di un signor nessuno.