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chi fa da sé... di
Nicola Gervasini (18/09/2018)
Alla
fine poi è nella semplicità la soluzione giusta, e ora l'ha capito anche Richard
Thompson. Esaurita la fase revival con la serie "Acoustic Classics",
il vecchio chitarrista inglese (ma neanche vecchissimo, i settanta li raggiungerà
solo l'anno prossimo, a dispetto di una carriera che ha già superato i cinquant'anni
di attività) torna con un nuovo album di inediti. 13 Rivers è composto
da 13 fiumi in piena di chitarre e una versione elettrica di qualcosa che ormai
solo a tratti ricorda quel folk inglese di partenza che solo lui ha saputo manipolare
così bene. A differenza dei suoi predecessori, come Electric
e Still,
il nuovo disco, pur uscendo sempre per l'americana New West (l'inglese Proper
per la versione europea), non cerca più nuove strade tramite produttori di grido
nel mondo dell'Americana (nel primo era Buddy Miller, nel secondo Jeff Tweedy),
ma torna all'autoproduzione.
E non solo: si torna in studio con la rodata
band che lo segue anche nei tour, in cui continua a spiccare il funambolico batterista
Michael Jerome, oltre a Taras Prodaniuk e Bobby Eichorn. Un trio formidabile che
Thompson ha rinchiuso in tutta fretta in uno studio di Los Angeles lo scorso ottobre
per dare vita a canzoni nate nei sei mesi precedenti. Libero quindi dalla necessità
di dimostrare di essere ancora moderno, Thompson anima più di cinquanta minuti
di tiratissimo folk elettrico, con due chitarre bene in vista e un sound tagliente
che ricorda quello di album come Sweet Warrior o Mock Tudor. Bastano solo i sei
minuti iniziali di Storm Won't Come, brano
di superba scrittura, pregno di una tensione positiva palpabile nel drumming di
Jerome, e impreziosito da un assolo che mette a tacere tutti e che dimostra che
nel 2018 si può ancora essere un guitar-hero con intelligenza. Ma è tutto il disco
che convince, con una The Rattle Within che
recupera arie tradizionali inondandole di elettricità, o con la solita ironia
con cui affronta da sempre i temi sentimentali in Her Love Was Meant For Me.
Thompson torna ad essere produttore e a registrare in analogico e in presa
diretta, e a sua detta alcune tracce non hanno neanche subito ritocchi. E c'è
da credergli, sentito il genuino tiro da live-version di brani come You
Can't Reach Me o No Matter, e sono solo alcuni esempi dell'atmosfera
decisamente up-tempo del disco. I momenti riflessivi ci sono, ma si limitano a
The Dog in You e al bellissimo finale di Shaking
the Gates. Non convinceremo più nessuno ormai a farsi piacere l'opera
di Richard Thompson, se già non si era convinto prima, potremmo anche solo usare
un brano come Do All These Tears Belong to You? per fare una lezione di
buon songwriting alle nuove generazioni e nessuno avrebbe da protestare, ma chi
lo ama sappia che 13 Rivers è forse il suo disco più convincente dell'ultimo decennio.
Forse già lo avrà scoperto da solo, perché Thompson resta uno di quelli da acquistare
a scatola chiusa, e cominciano ad essere in pochi a vantare una simile continuità
qualitativa.