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garage boys di
Pie Cantoni (01/08/2018)
Sei
sbarbati che fanno musica pesantemente influenzata dagli anni 60 (Velvet, Doors,
Stones, Kinks), con una freschezza e con una irriverenza da lasciare attoniti.
Il paragone più vicino è con i Velvet Underground di Lou Reed, quello stesso nichilismo,
quello stesso sbattersene delle regole, il medesimo feeling nei testi. Ok, un
po' meno estremi di quelli di Reed e compagnia, per essere onesti, perché quelli
facevano sembrare i romanzi di Arthur Miller pudici e perbenisti e Trainspotting
un racconto di quattro compagni di bevute scozzesi. Ciononostante, anche le liriche
dei Nude Party raccontano senza fronzoli e senza paroloni la vita per quella
che è, vista dalla prospettiva di ventenni che non hanno la minima voglia di invecchiare
e di diventare noiosi. A parte l'enfasi, che può sembrare sopra le righe, questi
allegri festaioli svestiti, rispetto a tanti altri, hanno quel "mojo" che ci fa
dire, senza timore di essere smentiti, che i sei ragazzotti americani saranno
una gran bella band.
La formazione è composta da Patton Magee - chitarre
e voce; Shaun Couture - chitarre e voce; Alec Castillo - basso; Don Merrill -
organo e piano; Austin Brose e Connor Mikita - batteria e percussioni, e il primo
disco, omonimo, comprende dodici brani che mischiano vibrazioni 60s, surf music,
garage rock in un miscuglio personale. Curiosa l'origine del nome: sebbene oggi
suonino solamente vestiti (toh, strano!), le prime esibizioni del gruppo in qualche
sperduto campus universitario del North Carolina erano au naturel, in fratellanza
di costumi col pubblico di appassionati nudisti. Water
on Mars apre le danze con forti tinte psichedeliche dell'organo e quel
cantato molto impostato che ricorda un po' Bowie, un po' Iggy dei tempi migliori.
Feels Alright con un ritornello 100% Lou Reed, ha tutte le caratteristiche
per diventare uno dei brani più rappresentativi, con quel coinvolgente "It don't
look good but it feels alright" che fa venir voglia di unirsi al coro.
Il
testo più divertente, che rappresenta al meglio la filosofia della band, è
Chevrolet Van che - probabilmente facendo il verso a tutti quelli che
hanno consigliato ai The Nude Party di trovarsi un lavoro prima di essere troppo
vecchi e senza un soldo ("I don't dig what you do but I think you are wasting
your time" e "Some day you'll be too old to play, man you wish you had a job")
- prende tutti in giro, divertendosi e immaginandosi un futuro a dormire in un
furgoncino Chevrolet. Nel frattempo però se la spassano e alla grande. Sono forti
le inflessioni rock e psichedeliche degli anni 60 in Paper Trail (Money),
e sulla stessa falsariga War Is Coming, che cerca di fare un passo avanti
nel testo e nelle tematiche trattate. La migliore interpretazione di Mick Jagger
e compagnia dei tempi di Beggars Banquet è Records,
con quel mix di country rock e rilassatezza sudista, che ne fa uno dei brani trascinanti
dell'album. Con uno spagnolo stentato ma vibrazioni che arrivano direttamente
da Animals e Kinks, Gringo Che racconta la storia del guerrigliero argentino,
mentre segue Wild Coyote, un brano surf innocentemente anacronistico (manco
avessero Hank Marvin alle chitarre), che pure ci sta più che bene nella scaletta.
E una simile cavalcata strumentale è la conclusiva Charlie's Sheep.
Le
influenze più forti, non a caso, sono quelle delle band "grezze" che hanno cambiato
il paradigma musicale e dei costumi sociali: Velvet Underground in primis, Kinks,
Rolling Stones. Anche i Nude Party sono irriverenti, scatenati, selvaggi,
e sembrano mandarti affanculo con un sorriso ad ogni nota. Come non amarli?