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Ray's light dreams di
Fabio Cerbone (29/05/2018)
Such
a Simple Thing è il brano scelto da Ray LaMontagne per annunciare il
suo settimo album di studio, dichiarazione d'intenti che torna a quel folk pastorale
e sussurrato, alla sognante delicatezza acustica che connotava i suoi esordi.
Dopo tanto peregrinare alla ricerca di un suono diverso, affiancato e stimolato
dalle produzioni con Dan Auerbach dei Black Keys e Jim James dei My Morning Jacket,
presenze che avevano certamente indirizzato il percorso dei precedenti lavori,
LaMontagne sceglie di prodursi da solo, riunendo una manciata di musicisti con
cui interagire ad occhi chiusi (tra gli altri il chitarrista Carl Broemel, Bo
Koster alle tastiere e John Stirratt dei Wilco al basso) nel suo studio casalingo,
battezzato The Big Room, accasato nella splendida dimora ottocentesca acquistata
ai piedi delle colline del Berkshires, Massachusetts.
Il cambio di direzione
o forse meglio dire il ritorno all'ovile è evidente, anche se le velleità da concept
psichedelico di Ouroboros
e le sfumature pop di Supernova non sono passate indenni, ma hanno sedimentato
nel suono dell'autore, che oggi si muove nella direzione di una sintesi. Part
of the Light, copertina lucente e che ammicca ancora ai colori cangianti
dei sixties, è un disco più pacato e in linea con la scrittura giovanile di Lamontagne,
ma spesso sembra ripetere schemi già sentiti e con più efficacia, mentre in altri
passaggi tenta una combinazione di vecchio e nuovo, spesso non riuscendo nell'impresa.
Nonostante il tono generalmente elegiaco e intimo dei brani, il disco, a detta
dello stesso Ray, raccoglie momenti di ansia personale di fronte ai cambiamenti
sociali del nostro tempo, e di riflesso cerca un rifugio, afferma il songwriter,
nella famiglia, nelle relazioni umane e nell'amicizia, una protezione di fronte
al senso di isolamento che produce il mondo.
Verità essenziali le chiama
il nostro protagonista, che introduce questa svolta di registro con il placido
tono da ballata dai vaghi colori irish di To the Sea, subito inseguita
dall'elevazione rock trasognata di Paper Man,
canzone che pare restituire il Ray Lamontagne più classico, o quanto meno un riassunto
perfetto del suo stile. E di frammenti che occhieggiano al passato e a ciò che
ha reso affascinante la sua proposta artistica ce ne sono parecchi: per esempio
l'intreccio di folk americano, eleganza pop dal sapore un po' beatlesiano e lirismo
dell'amato Van Morrison in It's Always Been You, Let's Make It Last
o nella citata Such a Simple Thing. L'impressione
però è che siano un po' dei surrogati, una bella copia di quanto già espresso.
Quando arriva il momento di sparigliare le carte invece la questione si fa delicata:
As Black As Blood is Blue e il suo roccioso hard rock settantesco suona
la carica ma appare completamente fuori contesto, comunque non eccezionale per
scrittura, mentre No Aswer Arrives cerca un groove più dilatato, si tinge
di psichedelia blues, eppure non emerge se non per la prova vocale dello stesso
Ray. Il riparo è nel saluto finale di Goodbye Blue Sky,
come se i Pink Floyd andassero in visita alla Big Pink di The Band inventandosi
un country rock spaziale.