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If He Could Only Remember Their Names di
Nicola Gervasini (17/12/2018)
Il
rammarico che ho sempre avuto su David Crosby era il fatto che tutto sommato
nei suoi anni d’oro abbia pubblicato veramente poco a suo nome. Probabilmente
anche per accordi con i ben più scaltri compari Stills, Nash e all’occorrenza
Young, nei dischi di gruppo lui era sempre quello rappresentato con meno canzoni,
e di fatto prima di Oh Yes I Can del 1989 aveva prodotto un solo album
solista e i tre dischi in coppia con Graham Nash, anche lì con contributo in minoranza
(Byrds a parte ovviamente, dove comunque ha avuto modo di pubblicare poche canzoni
a sua firma). Ho come la sensazione che, arrivato a settant’anni, si sia reso
conto di aver perso molto tempo, e ora tenta un recupero con una improvvisa frenesia
discografica.
Quattro album dal 2014 ad oggi sono un ritmo inusuale per
lui, ed era ovvio che nella fretta finisse anche per affrontare progetti non del
tutto necessari. Innanzitutto, va notato che, nonostante siano stati bene accolti,
gli album Croz, Lighthouse
e Sky Trails avevano un piccolo difetto di fondo, e cioè il fatto di averci fondamentalmente
confermato che l’uomo sa scrivere un solo tipo di canzone: la qual cosa, quando
gli viene bene, è senza rivali, ma l’idea di base è pur sempre quella di un folk
che gli permetta di valorizzare la sua voce quasi come se fosse uno strumento.
C’era dunque bisogno di qualche cambiamento, ma sembra che questo Here If
You Listen non riesca troppo a smuoverlo dalla sua rassicurante consuetudine
musicale. Peccato, perché il disco nasce come progetto corale con i musicisti
che già lo seguono in tour, con ampio spazio dato alle voci Michelle Willis e
Becca Stevens e al multistrumentista Michael League (co-titolari anche in copertina),
e c’era da aspettarsi forse qualche idea in più.
Crosby invece prova
a rimescolare le carte con qualche rifacimento (1967 e 1974 sono
vecchi inediti rimaneggiati, Woodstock è proprio quella Woodstock lì…)
e aggiungendo al suo solito menu piatti nuovi, con particolare enfasi sul singolo
a tre voci Glory e altri brani al solito suggestivi
e melodicamente perfetti come I Am No Artist, Balanced on a Pin
o Other Half Rule. Ma alla fine solo in Janet
pare sfruttare al meglio le possibilità che la formazione gli offre in termini
di variazioni musicali. Per il resto, se avete apprezzato i tre dischi precedenti,
Here You Listen non vi deluderà, perché il grande vecchio della West Coast continua
a insegnare stile, e si dimostra sempre in grande forma, tanto da intimidire ancora
i propri amici e comprimari. E questo nonostante fin dal suo mitico If I Could
Only Remember My Name lui abbia amato lasciare spazio anche agli altri e non tenersi
tutte le luci della ribalta, tipico del suo carattere da ipersensibile bonaccione.
Nonostante tutto è sempre bello rendersi conto di avere a che fare con
lo stesso bambinone di un tempo, che conserva gli stessi sogni, e forse anche
la stessa rabbia verso chi quei sogni, secondo lui, li ha traditi (uno dei tanti
motivi di rancore con il vecchio amico Graham Nash pare). Forse chiedergli ancora
di più non avrebbe senso, ma ho come la sensazione che Here If You Listen potesse
anche rappresentare l’ultima occasione per ottenerlo.