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young troubadours di
Fabio Cerbone
(17/05/2017)
Scorgi
in lontananza la polvere alzata dagli zoccoli del cavallo, l'ombra solitaria che
entra nel villaggio, gli stivali che toccano terra, il volto scavato e stanco
per l'interminabile viaggio, la ricerca del primo saloon nei paraggi. Intuisci
che sta per succedere qualcosa e che la vita di quel posto non sarà più la stessa.
Sceneggiatura classica, tutti i cliché compresi, America immaginata, e la voce
di Colter Wall a fare da colonna sonora, magari di un western crepuscolare
girato da Sam Peckinpah. Anche il nome sembra avere un destino segnato: non ve
lo immaginate già stampato su qualche manifesto, vivo o morto? I conti tornano
fino a un cetto punto, perché Colter Wall arriva dalle grandi pianure del Saskatchewan,
Canada e non bazzica la Death Valley, ha soltanto 21 anni e non ha mai conosciuto
l'epopea d'oro né del cinema western, né della country music.
Possiede
però una voce profonda che pare arrivare da un altro tempo, invecchiata nelle
botti di whiskey, un baritono alla Johny Cash che incontra la desolazione di Townes
Van Zandt e gli orizzonti da outlaw di Waylon Jennings. Il fascino dell'omonimo
esordio - dopo un ep nel 2015 intitolato Imaginary Appalachian e una canzone in
particolare, Sleeping On The Blacktop, finita direttamente nella sountrack
del fortunato 'Hell or High Water' con Jeff Bridges - è tutto racchiuso in questa
essenza scarna da dura frontiera, un suono asciutto ed epico al tempo stesso che
dall'apertura di Thirteen Silver Dollars affronta
un sentiero buio e tempestoso, dove murder ballad e spietate canzoni d'amore,
romanticismo da fuorilegge e racconti da provetto folksinger si alternano mantenendo
al centro la figura di Colter Wall e la sua narrazione. Il fantasma di Townes
Van Zandt aleggia dappertutto, quanto meno a livello stilistico: tra una Codeine
Dream che rimanda indirettamente al classico Waiting Around to Die e la cover
di Snake Mountain Blues, per non dire di Fraulein,
dolce walzer country che Townes incise sul capolavoro The Late Great Townes Van
Zandt.
L'enigmatica poesia dei testi di Van Zandt, la loro dura eppure
sensibile cronaca non è tuttavia la stessa e qui di Pancho & Lefty non ne scorgiamo
ancora, ma il bianco e nero di Kate McCannon
e la tenera seranata da hobo di Transcendent Ramblin' Railroad Blues sono
ballate che non passano indiferrenti, lasciando stupiti per la maturità di un
ragazzo di poco più di vent'anni. Dave Cobb, produttore ormai in prima
linea nel nuovo tradizionalismo a Nashville, ha intuito la seduzione di Colter
Wall e la potenza del suo canto, costruendo un disco di silenzi e soffi acustici:
un piano (come nel dondolio agrodolce di You Look To
Yours), una steel guitar (Me and Big Dave), qualche timidissimo
accenno ritmico (dal vivo spesso è il solo Colter Wall ad accompagnarsi con grancassa
e chitarra) è tutto ciò che occorre per costruire l'ossatura del disco.
E
di ossa dovremmo ben parlare per descrivere questi brani, che ricordano le intuizioni
di Willie Nelson quando a metà anni settanta sconvolse Nashville portando il suo
'Red Headed Stranger' all'attenzione di un nuovo pubblico. Quarant'anni dopo Colter
Wall prova a inserirsi in quel solco, al momento con qualche luogo comune nel
songwriting, dovuto anche all'inesperienza, ma prendendo dignitosamente posto
al fianco di Chris Stapleton, Brent Cobb, Sturgill Simpson e tutti gli altri giovani
cavalieri dalle lunghe ombre che stanno entrando in città. Buona fortuna.