Nove
canzoni e poco più di mezz'ora di musica sono il primo tempo che ci consegna Chris
Stapleton in questo 2017. C'è persino una cover, un successo dimenticato di
Willie Nelson dei primi anni ottanta (Last Thing I Needed, First Thing This
Morning) e dunque la prima fallace impressione è che si tratti di un disco
chiuso in fretta e sull'onda dei consensi recenti. Non è esattamente così, non
solo perché From a Room, Vol. 1 allude esplicitamente ad un successivo
volume, previsto entro l'anno, ma anche perché nella semplice coesione dei brani,
senza un tema dominante ma raccogliendo una manciata di ottime composizioni, l'album
conferma il picco creativo che Stapleton sta vivendo in questa stagione e il suo
ruolo guida nel definire un tradizionalismo dall'impronta indipendente in quel
di Nashville.
Dopo l'esperienza con gli SteelDrivers, dopo il lavorio
nell'ombra come autore prediletto del firmamento country più mainstream, l'esordio
solista con Traveller
aveva fatto saltare il banco. Una incetta di premi ai Country Music Award, portando
alla ribalta un sound asciutto, che pescava a piene mai dal movimento outlaw degli
anni settanta e lo bagnava nella acque soul del profondo sud, mantenendo una produzione
spartana e poco avvezza ai lustrini del music business. From a Room, Vol. 1 fa
tesoro di quella lezione, ribadisce il sodalizio con Dave Cobb in cabina di regia
e in qualche modo capitalizza le intuizioni del suo predecessore, offrendo ancora
una volta un country soul che unisce le strade di Nashville con quelle di Memphis,
che sfiora il boogie sudista e i fuorilegge alla Waylon Jennings con le riflessioni
sentimentali da rinnegato di Stapleton. L'idea che ci sia una chiara linea di
comunicazione con il passato emerge già in Broken Halos,
ballata country rock che possiede il battito della strada e un suono elettro-acustico
ridotto all'osso, concepito per esaltare la voce di Chris Stapleton, strumento
essenziale per il pathos di queste canzoni, spesso in coppia con la moglie Morgane.
Inutile negare che una metà abbondante della trascinante efficacia di
From a Room, Vol. 1 derivi proprio da quel canto: appassionato, romantico, perfetto
per cercare nei contrappunti del piano e dell'organo di Mike Webb e dell'armonica
di Mickey Raphael le spalle ideali di un suono che è la mimesi di un tramonto
lungo una highway americana. Il tono è quello affettato ed emotivo della citata
Last Thing I Needed, First Thing This Morning,
e ancora dell'acustica Either way, sorretta quasi dalla sola voce di Stapleton,
mentre la messinscena country outlaw di Up To No Good
Livin' tiene saldi i legami con la tradizione. Disco per la maggior
parte a trazione sudista, come si è detto, From a Room, Vol. 1 fa della ballata
dall'intensità soul il suo epicentro, come evidenziato nel parossismo di
I Was Wrong, chitarra basso batteria e poco altro a riempire gli spazi,
nella piaciona e romantica Without Your Love e soprattutto nel finale di
Death Row, curvilinea e bluesy, un incedere
che sbuca dai ritmi pigri di quella terra americana.
Il compito di sparigliare
un po' le carte ed eccedere voluttuosamente in elettricità è lasciato a Second
One to Know, southern rock con piglio garage, che tuttavia finisce troppo
presto (un delitto sfumare la parte solista nela coda finale) e al boogie licenzioso
di Them Stems. C'è abbastanza materiale per aumentare l'appetito e aspettare
il secondo atto di questo ragazzone del Kentucky che ha fatto innamorare di sé
tutta la Nashville che conta.