Willie Nelson
God's Problem Child
[Legacy/ Sony 2017
]

willienelson.com

File Under: alive and well

di Fabio Cerbone (08/05/2017)

La bandana inseparabile a fasciare il capo, un colore da rosso tramonto che riporta allo "straniero dalla chioma rossa", ciò che lo rese un tempo immortale tra i "fuorilegge" e gli irregolari della country music, Willie Nelson è un uomo del 1933 che ha imparato a convivere con la morte e la vecchiaia tutte intorno a sé. Molti gli amici che hanno abbandonato le scene, in anni più e meno recenti, fino all'anima gemella Merle Haggard, la cui leggenda Willie canta un'ultima volta nella dedica di chiusura He Won't Ever Be Gone. E riflettendo sulla sua stessa condizione precaria di ottantaquattrenne, al quale in più di un'occasione hanno scavato la fossa in anticipo, Nelson sembra farsi beffe dell'età e delle regole non scritte della discografia, che magari vorrebbero vedere in ritirata un uomo e un artista con la sua esperienza.

Willie invece è qui a cantare Still Not Dead, spassoso honky tonk che esorcizza le voci circolate su una sua possibile dipartita, pensando semmai al prossimo concerto o alla prossima canzone da incidere. Attraversato dunque dalle ombre della mortalità, con un tono che predilige, fatta eccezione per la citata Still Not Dead, la malinconia sincera e l'intima confessione, God's Problem Child ribadisce la splendida stagione del crepuscolo di Nelson, la sua rinnovata e incredibile qualità di scrittura in coppia con il produttore Buddy Cannon, insieme al quale firma sette episodi inediti dell'album e raccoglie altrettanti gioielli nascosti dal songwriting altrui, perfettamente aderenti al tema centrale del disco. Quest'ultimo suona per la maggior parte rilassato, un mood che lambisce la ballata country più sentimentale e i toni magistralmente jazzati su cui ricama la chitarra di Nelson, a volte un cuore spanish e altre più brusco e rurale che trova in Old Timer (brano firmato da Donnie Fritts), nelle trame pop di Woman's Love, nella dolce Butterfly o nel walzer di Lady Luck un suono sempre attuale, meditabondo e adatto alla saggezza di un vecchio outlaw.

Il feeling perciò non si avvicina alla maniera dei recenti dischi-tributo e forse neppure alla sorprendente verve country di Band of Brothers, è qualcosa di più personale e definitivo al tempo stesso. C'è ancora il Willie Nelson maestro di una honky tonk music fieramente indipendente da Nashville (Little House on the Hill, il dolce cullare nostalgico di Your Memory Has a Mind of Its Own, con l'inseparabile armonica di Mickey raphael), ma l'umore predilige l'intensità scura e la schiettezza di chi non ha più bisogno di dimostrare nulla (It Gets Easier canta tra lo sconsolato e il soddisfatto il nostro Willie), solo dispensare sapienza: da qui la strepitosa densità bluesy della title track, con le partecipazioni di Tony Joe White (la chitarra ci mette lo zampino e segna il brano), del giovane discepolo Jamey Johnson e soprattutto di Leon Russell, catturato in una delle ultime sessioni prima della scomparsa.

Suonato con un'attitudine quasi dimessa, riservata, God's Problem Child è l'eterno errare di un cavaliere dell'american music.


    


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