John Mellencamp (feat. Carlene Carter)
Sad Clown & Hillbillies
[Republic/ Universal 2017
]

mellencamp.com

File Under: roots jubilee

di Fabio Cerbone (28/04/2017)

Un percorso di coerenza e di invidiabile visione artistica sta sostenendo ormai il songwriting di John Mellencamp da un decennio a questa parte. La voce arrochita dal tempo e dalle sigarette (che non si è mai deciso a mollare, anche dopo un infarto che lo ha quasi portato all'altro mondo), il timbro denso di un bluesman e lo spessore di un folksinger, Mellencamp ha lottano con le unghie e con i denti per farsi accettare nella nuova veste, lontana dal rocker spavaldo della gioventù, Quei caratteri rurali, popolari, che hanno in Woody Guthrie una sorta di maestro, lo rendono oggi un autore dalla stoffa assai più profonda. Sad Clowns & Hillbillies è l'ultimo anello di una catena che non accenna a spezzarsi: non possiede forse la potenza scura di Life, Death, Love and Freedom, né l'austerità di No Better Than This, i suoi album più folk del decennio, ma seguendo la rotta intrapresa dal precedente Plain Spoken sembra bilanciare il vecchio e il nuovo John Mellencamp con un repertorio più vivace, qualche bizza elettro-acustica nello scintillare Americana di Early Bird Café (vecchio brano del 1970 dei misconosicuti Jerry Hahn Brotherhood), un sound generale figlio legittimo delle intuizioni di The Lonesome Jubilee, storicamente l'opera che ha segnato l'immaginario del musicista dell'Indiana.

Dalla cruda pasta sonora roots offerta da Andy York e Mike Wanchic, chitarristi straordinari nel mettersi al servizio della canzone e del suo groove, ai contrappunti del violino di Miriam Sturm, Sad Clowns & Hillbillies delimita un territorio familiare e al tempo stesso sempre credibile nel suo sviluppo: gli accenti hillbilly a cui fa riferimento il titolo si svelano tutti in Mobile Blue, sorprendente ripescaggio di un brano di Mickey Newbury (dal capolavoro "Frisco Mabel Joy"), che fa il paio con il sussultare country di Battle of Angels, un Mellencamp che ammicca a Johnny Cash e tonifica il suo stile fra le candenze twangy delle chitarre. Tematicamente meno uniforme dei suoi predecessori, con brani inediti e ripescaggi che nascono da progetti sparsi in anni recenti, come "Ghost Brothers of Darkland County" (la piece teatrale firmata insieme a Stephen King), Sad Clowns & Hillbillies è comunque in grado di saldare canzoni e immaginario, ancora una volta riflettendo sul sogno americano, sull'afflato spirituale che lo infonde, e sullo stato della nazione.

Il primo singolo, l'elettrica e sferzante Grandview, in duetto con Martina McBride e con la presenza di Stan Lynch (batterista storico di Tom Petty & The Heartbreakers), traccia questo solco e conferma Mellencamp come un erede della grande tradizione che da Guthrie passa per Steinbeck e arriva a Springsteen. La conclusiva Easy Target, l'altra traccia scelta per anticipare il disco, rappresenta invece il volto politico di John: pubblicata non a caso il giorno dell'insediamento alla presidenza di Donald Trump, fotografa le contraddizioni del paese partendo dal problema razziale e dalla protesta denominata "Black Lives matter". La ballata ha l'inflessione di un drammatico blues per piano e violino e potrebbe piacere a Tom Waits, tanto ne cavalca alcune tonalità.

Nel mezzo scorrono episodi più e meno personali, che questa volta si servono di una spalla femminile: la voce è quella di Carlene Carter, figlia di June, già in tour con Mellencamp e collaboratrice nel citato progetto Ghost Brothers of Darkland County. L'intesa fra i due è sbocciata in maniera naturale, tanto da condividere una bella parte del repertorio (e da inserire persino il nome di Carlene in copertina), cullando inizialmente l'idea di un disco a tema country e religioso. Ciò che è rimasto non è poco, e ha trovato posto tanto nella romantica Indigo Sunset quanto nella leggerezza di Sugar Hill Mountain, con il tempo sudista che occhieggia a New Orleans, nel frizzante tono gospel roots di My Soul's Got Wings e ancora nella clamorosa interpretazione di What Kind of Man Am I, tragica ballata dalla cupa intensità blues, che bene si accoppia con l'armonica pungente e l'atmosfera da Delta di Damascus Road.

Qualità inattaccabile, un chiaro orizzonte davanti a sé, un suono che è una scuola di pensiero, John Mellencamp non cede di un millimetro dalla splendida maturità di songwriter che si è guadagnato in questa stagione della sua vita.


    


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