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alt-country muse di
Fabio Cerbone (01/06/2017)
Se
ti scegli Mike Ness come mentore e produttore, sveli già molto della tua visione
sulla musica americana, su un certo immaginario rock'n'roll colto dalla strada
e naturalmente su tutto un bagaglio di radici e il loro cortocircuito con le chitarre
elettriche. Jade Jackson è una ragazza californiana cresciuta tra small
town e pomeriggi sonnolenti nel ristorante 'fai da te' di mamma e papà, due freak
nello spirito, stabilitisi a Santa Margarita senza connessioni con il mondo, se
non una chitarra e i dischi che la famiglia teneva in casa. Johnny Cash il primo
eroe dai solchi di un vinile, poi tutti gli altri, con una dieta a base di country
e punk rock, come prevede un certo copione: che sia più o meno costruito poco
importa, Jade comincia a scrivere canzoni e stralci di poesie a tredici anni,
affina l'arte negli anni del college e debutta giovanissima davanti a un microfono,
facendo poi da spalla a qualche maestro.
Una conoscenza familiare comune
- la fortuna gioca sempre la sua parte - la conduce nelle braccia del ribelle
leader dei Social Distortion, che applica un po' della sua filosofia a questo
esordio in casa Anti, intitolato Gilded. Il suono incrocia infatti
un roots rock robusto con le sfumature noir di certo alternative country e la
sezione ritmica si concede a volte all'eco lontana dello stantuffo rockabilly:
facile dirigersi verso la produzione solista di Ness e più in generale verso quel
country rock californiano che ha preso piede dalle ceneri degi X e degli stessi
Social Distortion, in pausa dalla rivoluzione punk. Gli agganci ci sono tutti
in Trouble End e nelle più tese trame di Good
Time Time Gone o della fascinosa Motorcycle,
anche se Jade Jackson possiede una sua personalità ben formata e un songwriting
che declina il tutto con un sensibilità femminile e una predilezione per ballate
e tempi medi.
Accade nell'apertura di Aden
e diventerà la sceneggiatura principale dell'intero Gilded, dal suono roots gentile
e finemente elettrico di Back When e Bridges,
che rircordano la canadese Kathleen Edwards (ancor di più nel finale di Better
Off) passando per la pigrizia sudista di Lucinda Williams, fino alle gioie
fluide della pedal steel di Greg Leisz (un calibro da novanta che partecipa alle
sessioni) ad abbellire e smussare gli angoli in Finish
Line. Insieme al violino dell'ospite Sara Watkins, essenziale
nel condurre la melodia della stessa title track, è uno degli strumenti che imprimono
il forte e agrodolce accento country all'album, senza pensare di reinventare nulla,
ma facendo girare la ruota nel verso di una tradizione rivisitata con espressività
e versi che sono confessioni, desiderio, affermazione di sé e della propria indipendenza
di donna.