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pachuco rock di
Fabio Cerbone (01/04/2017)
Descritta
come una delle voci più promettenti dell'ultima generazione folk americana, Alynda
Segarra, anima del progetto Hurray for the Riff Raff, scombinerà non poco
le certezze di chi l'aveva già incasellata nella grande famiglia della tradizione,
ambasciatrice di umori country, hillbilly e blues, di quella roots music che aveva
ispirato la sua opera dopo anni di convivenza con la città adottiva di New Orleans.
E non faccio fatica a confessare la mia stessa perplessità per un'artista che
in passato non era mai riuscita a convicermi del tutto, talentuosa ricamatrice
di un'Americana molto nostalgica, alla ricerca dei suoni più polverosi e antichi
che passavano da Bessie Smith a Woody Guthrie. The Navigator è un'altra
storia, in tutti i sensi, e soprattutto un album ambizioso, spiazzante e variegato,
in una parola l'opera più convincente della sua produzione (quattro album dal
passaggio dall'indipendenza alla prestigiosa Ato).
Questa volta l'inclinazione
della giovane Alynda per i concept album, per cicli di canzoni che sono tenuti
insieme da un tema narrativo forte (era avvenuto anche con Small
Town Heroes) ha generato qualcosa di assai personale, un vissuto autobiografico
che racconta le vicende di una giovane donna (è lei che incarna The Navigator)
cresciuta nel Bronx, fra palazzi abitati da immigrati portoricani, così come è
capitato ad Alynda stessa, bambina allevata dalla zia Nereida al quattordicesimo
piano (la confessione per piano e voce di Forteen Floors)
di uno stabile invaso dai suoni, dai colori e dagli odori di gente che approdava
lì da lontano, a strappare un lembo del sogno americano. Con un nuovo chitarrista
in formazione, Jordan Hyde, e soprattutto con la regia musicale accorta di Paul
Butler (lo abbiamo apprezzato nel recente lavoro di Micheal Kiwanuka), Hurray
for the Riff Raff vira verso un folk rock urbano, pulsante, che ingloba percussioni
latine (nella stessa The Navigator, nella
palpitante fiesta di Rican Beach), ritmi bomba
e salsa, voci doo wop (quelle che introducono il viaggio nel Bronx con l'iniziale
Entrance), chitarre spanish e crescendo d'archi (la confessione di Nothing's
Gonna Change that Girl, il romanticismo urbano di Settle,
tra Ben E King e Mink Deville) e ritmi rock che si lasciano avvolgere dal clima
newyorkese (la freddezza ritmica new wave di Hungry Ghost).
Sorprendente
per chi l'aveva eletta alla carica di ambasciatrice del sound rurale, molto interessante
invece per chi pensa che il concetto di radici debba essere aperto al mondo, a
maggior ragione in una sequenza di canzoni che vogliono cogliere gli accenti di
un quartiere difficile, dove acquisire la propria identità di cittadina americana.
Alynda Segarra ne racconta la battaglia quotidiana attraverso la dylaniana Living
in the City, volteggiante folk rock che si accoppia con il crescendo
della successiva Life to Save, in fondo niente affatto distanti dallo stile
passato, ma con una consapevolezza elettrica che non può non riflettere l'ambientazione
newyorkese. Una coscienza della propria condizione (osservate Alynda indossare
la sua t-shirt con la scritta "Puerto Rico" nel video di Hungry Ghost)
che acquisisce orgoglio strada facendo, approdando alla sequenza finale di The
Navigator, dalla citata Rican Beach all'invocazione di Pa'lante
(parola in slang portoricano che incita ad andare avanti, a credere
in se stessi), all'intreccio di voci latine e roboanti percussioni che animano
Finale.
Se esiste una risposta fatta di meticciato musicale, multiforme
e fiero del suo miscuglio di pronunce, a quest'epoca americana di rifuito dell'altro
è proprio The Navigator. Un album politico, nel senso migliore del
termine.