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an ecstatic work of negativity di
Nicola Gervasini (02/05/2017)
I
generi del rock sono sempre stati una categorizzazione utile soprattutto a chi
deve scrivere di musica e spiegare un disco a parole, e forse alle case discografiche
per fare corretti calcoli di "product placement". Nel 2017 però ormai ha poco
senso tirarli in ballo, vuoi perché il mercato discografico è talmente confuso
che è sempre più impossibile identificare "scene" o "correnti", vuoi anche perché
i vecchi rocker che resistono sono soprattutto artisti incatalogabili se non alla
la voce "sé stessi". Come Robyn Hitchcock. Robyn Hitchcock è il
suo ventunesimo album di originali, e non ha neanche un titolo, il che potrebbe
sottintendere una qualche nuova ripartenza, o al massimo un'ironica dimenticanza,
visto che è il suo primo album omonimo. Oppure, come spiega lui più semplicemente,
il titolo scelto in origine ("An ecstatic work of negativity") pareva troppo pesante
anche per il suo fedelissimo pubblico.
Queste dieci canzoni, più che ripartenza
o bagno di negatività, appaiono come un chiaro salto indietro a quello che Hitchcock
rappresentava a fine anni ottanta. Abbandonato il minimalismo nordico degli ultimi
album, Robyn torna al colorato mondo del pop allucinato alla Syd Barrett mischiato
al college-rock di marca REM che segnò album come Globe Of Frogs o Perspex Island,
di cui questa raccolta pare davvero un tardivo compendio. A Hitchcock si richiede
solitamente di avere una scrittura fuori da qualsiasi schema, e qui davvero lo
ritroviamo al top della forma in questo senso, fin dall'iniziale I
Want To Tell You What I Want, e ancora nei riferimenti letterari di
Virginia Woolf o nel country da outlaw-hero di I
Pray When I'm Drunk (il disco è registrato a Nashville, come pare evidente
anche in 1970 In Aspic, insieme al produttore Brendan Benson). E
ancora attraverso le atmosfere allucinate di Sayonara Judge, i giri alla
Peter Buck di Autumn Sunglasses, il sound più garage-rock di Mad
Shelley's Letterbox, gli archi acidi di Raymond and the Wires.
Gira tutto come un tempo, forse fin troppo "come un tempo" storcerà il
naso qualcuno, ma Hitchcock è così, diverte solo chi si sintonizza col suo mondo
sospeso tra l'ironico e il fantastico, prendere o lasciare. Fa la stessa musica
esattamente come veste la stessa camicia a pallini da anni, e solo lui potrebbe
ideare ancora oggi una canzone totalmente astrusa come Detective
Mindhorn o anche far sembrare speciale un banalissimo e stra-sentito
giro chitarristico come quello di Time Coast. E' Robyn Hitchcock, uno che
non ha mai pubblicato un disco veramente brutto semplicemente perché ha avuto
sempre qualche buona storia da raccontare. Poi quando, come in questo caso, il
disco è pure di ottimo livello anche nella produzione, per i suoi fans è una rinnovata
gioia per le orecchie.
Seguirlo o no è una vostra scelta, non una sua
priorità, e questa resta la sua grande forza.