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News from nowhere di
Gianfranco Callieri (01/10/2016)
Mi
perdonerà Mauro Zambellini, il santo protettore (in parole e articoli) di tutti
gli estimatori italiani del rock and roll più crudo e viscerale, se lo cito per
la centesima o milionesima volta, ma di fronte al secondo album del georgiano
Chris Stalcup, dopo l'altrettanto esaltante Dixie
Electric Company di due anni fa, viene subito voglia di rispolverare
la sua definizione sui dischi "di serie B", opere come certi film o certi libri
caratterizzate da una disarmante mancanza di pretese e, nonostante questo (o forse
in sua virtù), da un'identica capacità di incidere a fondo nella coscienza, nelle
passioni e nei giorni degli ascoltatori, per esaltarne uno tanto aspro, spontaneo
e dimesso quanto, a suo modo, irrinunciabile.
Perché nelle dieci canzoni
di Downhearted Fools, fin dal titolo un chiaro e sentito omaggio
al disincanto della classe operaia - il cui stile di vita è stato fatto a pezzi
dalle spietate logiche della globalizzazione, da una recessione perpetua e da
una dolorosa assenza di prospettive - per fortuna non soltanto bianca (Stalcup
viene dal Sud, da uno di quei paesi dove la percentuale di afroamericani è superiore
a quella della media nazionale, e si sente), ancora una volta confezionate dal
titolare con l'aiuto di Michael Westbrook (sei corde e pedal-steel), Phil Skipper
(basso) e Paul Barrie (tamburi), risuona fortissima l'eco dei Del Fuegos dei fratelli
Warren e Dan Zanes, dei corregionali Dashboard Saviors e Georgia Satellites, dei
Classic Ruins di Billy Borgioli e Frank Rowe, degli Outlets dei fratelli Barton,
dei Del-Lords di Eric Ambel e Scott Kempner e di tutte quelle band che, pur mancando
della vocazione a rivoluzionare alcunché, hanno saputo rendere viva, eccitante,
espressiva e spesso travolgente la tradizione rock and roll degli anni '50, da
loro contaminata con l'enfasi proletaria di Bruce Springsteen, con il r&b torrenziale
di Van Morrison, con la vitalità operaia di Bob Seger e il sarcasmo affilato di
Warren Zevon.
Ascoltando Downhearted Fools, e passando quindi in rassegna
i sanguinari assoli della concitata title-track, l'honky-tonk inondato di elettricità
e stimolanti di Get You Off My Mind o le fucilate
country-rock di una (Don't Let Me) Die Lonely col
passo degli Stones di Let It Bleed (1969), sembra di trovarsi in una roadhouse
piena di fumo, alcol e rimpianti in cui l'unico modo per non soccombere alla malinconia
è quello di alzare il volume; quanto puntualmente accade, insomma, nella lunga
e devastante cavalcata chitarristica di una Pete & Clyde dedicata allo
sbandamento esistenziale e materiale di due figli bastardi del meridione più povero,
descolarizzato e fradicio di disinganno, o negli otto minuti di epiche scudisciate
rockinrolliste della conclusiva However You Want Me,
davvero uno di quei brani dov'è possibile respirare la grandezza e l'irruenza
delle stagioni del passato, quando l'illusione del rock era ancora un antidoto
alla disperazione di molti.
Se la scorticata Burnin' Up These Highways
e la più countreggiante Moonshinin' (country come potevano esserlo i primi
Uncle Tupelo, quindi rocciosa e romantica, triste e scombussolante) assolvono
al compito di affrontare il settore delle ballate, il soul marziale dell'arcigna,
straziata Bad Kisser, più o meno un inno per
chiunque abbia affrontato l'imbarazzo e la goffaggine dell'adolescenza nascondendosi
tra i solchi di un album, e il passo lento e spazzolato di You, My First Love,
altro capitolo indispensabile del romanzo di Stalcup sui peccati e sulle redenzioni
impossibili della giovinezza, si occupano invece di certificare lo spirito sudista
dell'autore, onesto come pochi nel macinare il proprio linguaggio torrido e privo
di abbellimenti negandosi ogni forma di accondiscendenza.
Non sarà un
capolavoro, Downhearted Fools, e d'altronde non nutre l'ambizione
di esserlo, ma per chi abbia voglia di una nuova purezza "di genere" e sia alla
ricerca di uno stile che, da un lato, morda e interpreti la realtà, e dall'altro
ritrovi la pregnanza e l'essenzialità dei nomi sin qui riportati, quello di Chris
Stalcup è un lavoro da non farsi sfuggire.