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roots di
Fabio Cerbone (04/04/2016)
Progetto
inseguito con ostinazione da Carrie Rodriguez, grazie anche a una campagna
di raccolta fondi che ne ha decretato il successo ancor prima della realizzazione,
Lola è una vera sorpresa per la violinista e autrice di Austin,
l'album in cui le sue radici messicane e il tono raffinato delle sue ballate dai
delicati colori rurali raggiungono un perfetto equilibrio di passione ed eleganza.
Il merito è da condividere con il cast di prima qualità dei musicisti e un produttore,
Lee Townsed, che ha saputo bilanciare le diverse anime della Rodriguez, mai così
convincente come interprete e traduttrice della sua educazione sentimentale, divisa
fra Texas e Messico.
Cantato spesso in "spanglish", altre volte abbracciando
convintamente la lingua spagnola, mischiando versi attuali e memorie del passato,
Lola parte dal pedigree familiare, da quella prozia Eva Garza, ammirata cantante
di San Antonio negli anni Quaranta per approdare al repertorio appositamente scritto
da Carrie. I due piani si confondono grazie agli arrangiamenti e alla visione
d'insieme della band, The Sacred Hearts, che comprende calibri da novanta come
Bill Frisell alle chitarre e Victor Krauss al basso, completati da Luke
Jacobs alla seconda voce, chitarre, lap e pedal steel e dall'ottimo David Pulkingham
(in passato con Alejandro Escovedo), sempre alle chitarre. Queste ultime sono
il tratto distintivo di un suono che lambisce il twang del country rock texano
(nell'episodio più elettrico della raccolta, intitolato Z),
ma si fa più malleabile e morbido (The West Side),
tenendo legate le mille suggestioni della musica che scorre lungo il border.
Il
classico Perfidia, firmato da Alberto Dominguez
e portato al successo dall'orchestra di Glenn Miller, con la sua melodia dolcemente
retrò e il controcanto dell'ospite Raul Malo, è il biglietto d'ingresso
per questo melting pot di culture musicali, messaggio coraggioso di intrecci popolari
in un periodo in cui alzare muri e prevedere esclusioni e piccoli recinti sembra
essere il nuovo, disonesto e demagogico linguaggio della politica. Il sobbalzare
dell'originale Llano Estacado conferma la
vena ispirata di Carrie, con le sue tinte country blues elettriche, mentre i riferimenti
espliciti alla "migra", polizia di frontiera, e alla condizione degli immigrati
si inseriscono nel discorso di cui sopra. I Dreamed I
Was Lola Beltran è un gioiello su cui pongono il marchio la chitarra
di Frisell e una lap steel desertica, un'Americana d'atmosfera che si distende
su una melodia dal carattere pop.
Incantevole anche il lento passo da
cumbia ne La Ultima Vez, preannuncio del walzer di Cucho Sanchez, Que
Manera de Perder, in duetto con la voce più sospirata di Luke Jacobs. Il lento
ritmo di tango in Frio en El Alma, così come
Noche de Ronda e Caricias, tra tempi
di walzer, riprendono la dolce "disperazione" in lingua messicana, ma è nel finale
che Lola tocca le corde più suggestive. Il citato Sanchez viene "saccheggiato"
proponendo due versioni del gioiello Si No Te Vas: introduzione strumentale,
con Frisell a spadroneggiare spalla a spalla con il violino di Carrie, educata
al conservatorio e nel tempo avvicinatasi alla tradizione popolare, mentre la
spanish nylon guitar di Pulkingham prende il sopravvento nella parte cantata,
ballata d'amore che la Rodriguez domina con assoluto trasporto e reverenza. Il
disco migliore e più sentito dell'autrice sino ad oggi, forse quello di una vita
intera.