Sia
lode al Signore: è proprio il caso di dirlo visto il terreno musicale affrontato.
Eli Paperboy Reed decide di uscire dall'angolo in cui si era cacciato con
le sue stesse mani e riprendere le redini del match. Fuor di metafora pugilistica
- e d'altronde la suggerisce il nostro Eli in persona con la copertina in aria
di sfida - il ritorno sui passi degli esordi è un toccasana per un revivalista
del rhythm'n'blues come lui, partito con le intenzioni di emulare i grandi shouter
soul del passato, James Brown come guida spirituale, e finito per scialacquare
la sua musica nelle smancerie moderniste del suo debutto per la Warner, Nights
Like This, un vero pasticcio di suoni e ambizioni mai realizzate.
Il raggio
di azione di My way Home, e anche il titolo ci mette del suo per
ricollocare ogni influenza al posto giusto, è dunque quello di uno scatenato r&b
vecchia scuola, che non si vergogna di citare il passato e far emergere l'affetto
di Reed per il fiume della tradizione gospel e soul, la stessa che ha imparato
da ragazzo nella chiesa del pastore Mitty Collier a Chicago e ha poi diffuso per
le strade di Harlem. C'è tuttavia una differenza non da poco, evidente fin dalle
prime scatenate note di Hold Out e nel rotolare
di Your Sins Will Fidn You Out: il sound è sporco e garagista, chitarre
elettriche e organo scorazzano in lungo e in largo, mentre i più canonici fiati
di ordinanza sono mandati in soffitta. Emergono così undici episodi con un'animosità
rock'n'roll inedita, che si va ad aggiungere all'interpretazione di Reed, urlatore
di prima categoria, sempre al limite del parossismo.
Questa è l'energia
che lo rende unico e al tempo stesso un piccolo tallone d'Achille, perché sulla
distanza un ricerca più modulata sulla voce avrebbe garantito maggiore varietà
al repertorio. Il lavoro di produzione con Loren Humphrey (Guards, The Willowsz)
predilige invece riverberi e chitarre dai colori sixties, un sorta di garage soul
nel quale la vocalità è sempre al limite, volutamente distorta, sorretta comunque
a dovere da un coté di coristi: e la nostalgia prende il volo con Tomorrow's
Not Promised, gli inni si innalzano al cielo con
My way Home, le ballate si struggono in Movin' e persino uno
strisciante blues molto poco spirituale e ben più carnale si muove in Eyes
on You. L'album è festoso, incalzante e si fa fatica non muovere il bacino,
nonostante l'impressione è che la freschezza di un lavoro come Roll
with You, che lo svelò al pubblico internazionale nel 2008, si sia
un po' dissipata.
Oggi c'è più mestiere nella formula di Eli Paperboy
Reed, che comunque si sforza di non ripetere i classici, ma di scriverne di propri
(una sola cover, l'infuocato traditional Cut Ya Down).
Che ci riesca sul serio è tutta un'altra questione, anche se il trasporto delle
ballate, da I'd Rather Be Alone a What Have We Done, è dannatamente
sincero e un brano come A Few More Days, al galoppo funky, resusciterebbe
anche i morti. Bentornato.