Eli Paperboy Reed
My Way Home
[Yep Roc/ Audioglobe 2016
]

www.elipaperboyreed.com

File Under: garage soul

di Fabio Cerbone (21/06/2016)

Sia lode al Signore: è proprio il caso di dirlo visto il terreno musicale affrontato. Eli Paperboy Reed decide di uscire dall'angolo in cui si era cacciato con le sue stesse mani e riprendere le redini del match. Fuor di metafora pugilistica - e d'altronde la suggerisce il nostro Eli in persona con la copertina in aria di sfida - il ritorno sui passi degli esordi è un toccasana per un revivalista del rhythm'n'blues come lui, partito con le intenzioni di emulare i grandi shouter soul del passato, James Brown come guida spirituale, e finito per scialacquare la sua musica nelle smancerie moderniste del suo debutto per la Warner, Nights Like This, un vero pasticcio di suoni e ambizioni mai realizzate.

Il raggio di azione di My way Home, e anche il titolo ci mette del suo per ricollocare ogni influenza al posto giusto, è dunque quello di uno scatenato r&b vecchia scuola, che non si vergogna di citare il passato e far emergere l'affetto di Reed per il fiume della tradizione gospel e soul, la stessa che ha imparato da ragazzo nella chiesa del pastore Mitty Collier a Chicago e ha poi diffuso per le strade di Harlem. C'è tuttavia una differenza non da poco, evidente fin dalle prime scatenate note di Hold Out e nel rotolare di Your Sins Will Fidn You Out: il sound è sporco e garagista, chitarre elettriche e organo scorazzano in lungo e in largo, mentre i più canonici fiati di ordinanza sono mandati in soffitta. Emergono così undici episodi con un'animosità rock'n'roll inedita, che si va ad aggiungere all'interpretazione di Reed, urlatore di prima categoria, sempre al limite del parossismo.

Questa è l'energia che lo rende unico e al tempo stesso un piccolo tallone d'Achille, perché sulla distanza un ricerca più modulata sulla voce avrebbe garantito maggiore varietà al repertorio. Il lavoro di produzione con Loren Humphrey (Guards, The Willowsz) predilige invece riverberi e chitarre dai colori sixties, un sorta di garage soul nel quale la vocalità è sempre al limite, volutamente distorta, sorretta comunque a dovere da un coté di coristi: e la nostalgia prende il volo con Tomorrow's Not Promised, gli inni si innalzano al cielo con My way Home, le ballate si struggono in Movin' e persino uno strisciante blues molto poco spirituale e ben più carnale si muove in Eyes on You. L'album è festoso, incalzante e si fa fatica non muovere il bacino, nonostante l'impressione è che la freschezza di un lavoro come Roll with You, che lo svelò al pubblico internazionale nel 2008, si sia un po' dissipata.

Oggi c'è più mestiere nella formula di Eli Paperboy Reed, che comunque si sforza di non ripetere i classici, ma di scriverne di propri (una sola cover, l'infuocato traditional Cut Ya Down). Che ci riesca sul serio è tutta un'altra questione, anche se il trasporto delle ballate, da I'd Rather Be Alone a What Have We Done, è dannatamente sincero e un brano come A Few More Days, al galoppo funky, resusciterebbe anche i morti. Bentornato.


   


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