Il
viaggio di riscoperta delle proprie radici cultural-musicali si fa sempre più
intenso per Leyla McCalla, violoncellista di origini haitiane conosciuta
per la sua collaborazione con i Carolina Chocolate Drops e ormai resasi indipendente
attraverso una singolare carriera solista. Oggi quest'ultima approda ad un secondo
capitolo se possibile ancora più asciutto e densamente folk rispetto all'affascinante
predecessore, quel Vari-Colored
Songs che aveva imposto il nome della McCalla fra le più affascinanti
chanteuse di una canzone roots meticcia. Siamo di nuovo a metà strada fra New
Orleans e i Caraibi, tra il French Quarter e l'amata Haiti, isola da cui proviene
la storia dei genitori di Leyla, lei nata a New York e diplomatasi con studi classici
sul violoncello, poi attirata dal battito della strada e del folklore americano.
Se in passato il riferimento alto era rappresentato dal poeta afro-americano
Langston Hughes, a cui in parte era dedicato l'esordio, oggi la presa di coscienza
di Leyla è più personale, intrecciando una coscienza sociale e temi che indagano
la sua condizione di donna figlia di immigrati in America. A Day For The
Hunter, A Day For The Prey, proverbio haitiano e titolo di un libro di
Gage Averill sulla musica popolare di quel paese, è ancora una fusione di linguaggi
fra l'inglese, il francese e il creolo delle isole caraibiche, che grazie all'interesse
suscitato dal debutto del 2013 può avvalersi di partecipazioni importanti, a impreziosire
una musica che resta comunque delicata, soffusa come il canto di Leyla McCalla
stessa: dall'amica Rhiannon Giddens, ai tempi dei Carolina Chocolate Drops,
in Manman, all'inconfondibile chitarra di
Marc Ribot, qui tornato sui passi dei ritmi latini con i Los Cubanos Postizos
in Peze Cafè, o ancora Louis Michot dei the
Lost Bayou Ramblers nello strumentale cajun Bluerunner e Sarah Quintana
a duettare nella diafana, dolcissima Salangadou.
Fin troppo rigoroso nella sua scarna veste acustica, l'album svela un fascino
ancestrale e richiede silenzio e disposizione d'animo: solo così si potrà apprezzare
il lavoro di melting pot musicale messo in atto da Leyla McCalla, alla ricerca
di tradizioni che possano colloquiare fra loro.
Il messaggio nel 2016
è più forte che mai, e il violoncello della protagonista, centrale quanto violino
e chitarre acustiche, lo sottolinea nel sound sinuoso della stessa A Day For
The Hunter, A Day For The Prey, nella danza creola di Les
Plats Sont Tous Mis Sur La Table, solo voce e archi, e nello scuro
folk dalle ascendenze appalachiane di Little Sparrow. Non si pensi comunque
a un disco senza variazioni stilistiche: pur nella sua intransigente veste, alterna
piccole soprese come il passo klezmer della melodia di Far
From Your Web, con banjo e fiddle a piroettare, accenna morbide ballate
sospese fra classicismo e tradizione roots con Let It Fall, chiudendo poi
fra un dolce ancheggiare caraibico in Fey-O e
un ritorno per i vicoli più poveri di New Orleans con Minis Azaka.
Personale,
differente, il folk di Leyla McCalla parla un lingua antica ma cerca un incontro
di culture per leggere la trama del suo presente.