Lydia Loveless
Real
[Bloodshot/ IRD
2016]

www.lydialoveless.com

File Under: Lydia evolution

di Gianuario Rivelli (01/09/2016)

Che Lydia Loveless fosse un cavallo sicuro su cui puntare era evidente e non ci voleva un allibratore cinese per ratificarlo. Indestructible Machine prima e Somewhere Else poi avevano lasciato tracce inconfondibili di puro talento. Ma ogni disco, si sa, nasconde delle insidie e c’è sempre il timor panico di rimanere delusi da campioncini su cui eri pronto a mettere la mano sul fuoco. Al quarto disco dunque il compito di scoprire definitivamente le carte: buccia di banana che raffredda gli entusiasmi o rampa di lancio che fa assurgere una volta per tutte. Per realizzarlo Lydia si ripresenta con la medesima formazione e ancora Joe Viers a curarne la produzione e missaggio. Nemmeno il copione subisce variazioni: sempre di cicatrici del cuore si parla, di amori tormentati e sentimenti feriti.

Dunque Real banale fotocopia delle creazioni precedenti? Niente affatto: laddove c’era rabbia ora c’è disincanto, laddove c’era veemenza ora c’è controllo, laddove c’era una rockeuse che sbatte le ali ora c’è una cantautrice matura e perfettamente calibrata. Ascoltate il piglio sicuro con cui Loveless sfotte i Midwestern Guys nell’omonima ballata o la linearità con venature country di European e ditemi se anche da brani apparentemente minori come i suddetti non traspare una donna che ha in mente una chiara visione della strada che vuole percorrere. Nessun dubbio che gli highlights siano altri, brani in cui l’urgenza e la sincerità tipiche del suo songwriting vengono sbattute in faccia con la forza d’urto del passato (Same to You, roots rock incazzato e appassionato), con confezioni inedite (il ritornello killer e il vestito pop anni 70 di Longer) o con una autenticità e un coinvolgimento emotivo così onesti da sembrare autobiografici (lo struggimento e la vulnerabilità di Bilbao; l’intensità tormentata di Out on love).

Tuttavia è ingiusto puntare i riflettori solo su alcuni episodi, perché qui non c’è da trascurare nulla, nemmeno i cimenti in punta di penna (Clumps, deliziosamente acustica e riflessiva) e figurarsi se la prova midtempo in salsa americana non venga superata a piè pari (More than Ever, chiaroscuri tratteggiati dalla sei corde del fido Todd May). Poi se persino Heaven, chitarre sfacciatamente lanciate verso un revival disco-pop anni 80, risulta essere non meno che irresistibile, nulla più osta all’applauso scrosciante per il disco della maturità della ventiseienne dell’Ohio. Real non è né meglio né peggio dei suoi apprezzati predecessori: ha semplicemente uno spessore diverso, gioca su un differente terreno. E vince, eccome se vince.

La generazione targata anni Novanta ha trovato uno dei suoi alfieri principali e noi abbiamo trovato uno dei migliori dischi del 2016, autorevole candidato alle nomination di fine anno.


    


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