Bando
alle ciance: un nuovo album di Ian Hunter si compra a scatola chiusa. Inutile
leggere recensioni, fare preascolti o chiedere pareri agli amici. Potremmo persino
dire che è inutile anche parlarne dopo, per cui questa recensione potrebbe anche
chiudersi con un semplice "Hey ragazzi! " - anche se so che voi che leggete ragazzi
non lo siete più da tempo - "E' uscito il nuovo album di Ian Hunter, buon ascolto
e viva il rock and roll!". Se poi qualcuno di voi osa anche solo chiedere "Ian
chi?", se ne vada che qui non è posto per lui. Se poi proprio in queste pagine
Ian Hunter è sinonimo di musica doc garantita è anche perché dopo avere da sempre
tenuto i piedi in due scarpe (quella del brit-rock di origine glam, e quella di
un rock americano quasi roots), in questi suoi ultimi anni il vecchio rocker ha
abbracciato soprattutto il secondo ambito con dischi come Shrunken Heads e Man
Overboard.
Fingers Crossed arriva quattro anni
dopo When
I'm President, e continua il sapiente amalgama di suoni USA e reminiscenze
dei Mott The Hoople proposto dal suo predecessore. Non potrebbe essere altrimenti
un album che inizia con una That's When The trouble Starts
che pare un vecchio sguaiato singolo degli Sweet, o che continua con Dandy,
dedica allo scomparso David Bowie che, giocando sul vero cognome, inizia con una
bella citazione di Dylan (Something is happening Mr. Jones, My brother says you're
better than The Beatles or The Stones). Anche Ghosts (cronaca di una visita
negli studi della Sun Records) e la bella title track sembrano ricercare la vecchia
verve rock di un tempo, ma già White House
la ributta sull'american folk, e sulla stessa strada corre anche Bow Street
Runners, brano che potrebbe appartenere a un qualunque cantautore di Austin.
Con Morpheus Ian torna a giocare con sontuose orchestrazioni, con
risultati sempre soddisfacenti pur nella voluta pomposità del brano (e soprattutto
dell'assolo un po' alla Queen). Anche Stranded In Reality
è una ballata pregna di chitarre acustiche molto significativa, piccolo punto
della situazione di una lunga carriera (il titolo è anche quello di un mega-cofanetto
di 30 cd che racchiude tutta la sua discografia in uscita proprio in questi giorni).
E singolare che proprio dopo un brano che guarda al passato, ne arrivi uno che
si intitola You can't Live In The Past, altra ballatona che prelude allo
scanzonato finale di Long Time, sortita in
chiave Kinks a chiusura di un album che, manco a dirlo, convince, diverte, e offre
il solito campionario di canzoni scritte come il Dio Rock comanda.
E il
solito caro vecchio rock and roll, ma che il tempo ce lo conservi sempre così.