Benché
non avessero mai derogato alla regolarità di uscite d'una produzione discografica
scandita con precisione svizzera (dal 2001 del sesto Twilight, un ulteriore album
ogni tre anni), il successo di Far From Any Road, tratta da Singing Bones
(2003) e utilizzata sui titoli di testa della prima, fortunatissima stagione della
serie "True Detective", ha consentito agli Handsome Family di
tornare a farsi vivi anche dalle nostre parti, per qualche concerto non particolarmente
memorabile ma se non altro utile a confermare come, all'interno della coppia formata
da Brett e Rennie Sparks, il marito sia quello più misantropo e intrattabile,
mentre alla moglie sia affidato il compito di apparire (almeno un po') più malleabile
e disponibile.
Una dicotomia, se vogliamo, anch'essa piuttosto logora,
nonché sfruttata già troppe volte per non sembrare l'ennesimo esercizio di stile;
d'altro canto, un diligente catalogo di esercizi di stile è proprio quanto vanno
proponendo, dai tempi ormai lontani dell'ottimo In The Air (1999), anche i lavori
stessi degli Handsome Family, ogni volta inchiodati, con risultati più o meno
apprezzabili a seconda dell'ispirazione, agli schemi del gotico sudista dove l'eredità
letteraria di William Faulkner incontra il folk dei monti Appalachi e lo avvolge
in una densa coltre di fatalismo. Certo, ognuno dei dieci episodi di Unseen
può in un certo senso ricordare Far From Any Road, ma era quella canzone, allora,
a ricordare da par suo almeno un'altra ventina di pezzi del repertorio dei coniugi
Sparks, perciò nessuno scandalo.
Anzi, piace semmai constatare come l'album
sia uno dei più accessibili e gradevoli mai realizzati dalla coppia, al solito
impeccabile nel confezionare sinistre profezie di sfacelo e disgrazia (nella placida
Underneath The Falls si parla addirittura
delle presenze soprannaturali nascoste nei boschi) dentro carezzevoli confetti
neo-tradizionalisti, e qui più che mai a suo agio nello scivolare tra la cantica
antica di The Sea Rose e il dobro country di David Gutierrez sulla raccolta
The Silver Light, tra le sfumature quasi pop di Gold e
Tiny Tina (più spagnoleggiante la prima, più orchestrale e romantica
la seconda) e lo spaventoso lied germanico di Gentlemen, tra le risonanze
acustiche di Back In My Day e il gorgheggiare da cowboy della scanzonata
Green Willow Valley. Tutto, però, fatta eccezione per il tono nostalgico
di una The Red Door che si direbbe sbucata
dalle serenate anni '50 del precedente Honey Moon (2009) e per l'ascensione gospel
dell'imponente, melvilliana King Of Dust, si svolge senza incidenti e pure
senza sussulti, in un'atmosfera intorpidita e passiva, quasi di ripasso su quanto
articolato in passato.
Nelle canzoni di Unseen non c'è nulla che non funzioni,
insomma, ma il suo clima generale è così "alla Handsome Family", così meontologico
(come direbbero i filosofi di altri filosofi troppo concentrati sulla staticità
del nulla), così immediatamente riconoscibile e, in fondo, ripetitivo, da indurre
in più di un'occasione allo sbadiglio. Perché quella di girare intorno al niente,
vedendo se sia possibile costruirci sopra qualcosa, è un'arte, e gli Handsome
Family, sebbene anche questa volta bravissimi, l'hanno praticata abbastanza a
lungo da rendere consigliabile l'ipotesi di guardare altrove.