Nick Cave & The Bad Seeds
Skeleton Tree
[Bad Seed LTD 2016
]

www.nickcave.com

File Under: Death is not the end

di Nicola Gervasini (21/09/2016)

Quando leggerete questa recensione, Skeleton Tree sarà già uscito da molti giorni, e avrete già letto non una, ma parecchie critiche entusiastiche, con lodi sperticate al limite di un servizio RAI di Vincenzo Mollica. Giusto: Nick Cave, dopo un decennio di leggero appannamento, è decisamente tornato in forma, e anche questo è un disco importante e, a suo modo, bello. Potremmo entrare nel merito dei singoli brani, ma ripeteremmo discorsi sull'esorcizzazione della morte (quella di suo figlio), sulla musica come surrogato del lettino dello psicoanalista, e sul rumore che produce un'anima sventrata dalla tragedia. I dischi di Cave non sono certo mai stati allegri, da un lato vuoi per la naturale propensione della sua voce e del suo teatrale cantato al melodramma, dall'altro per la sua visione della morte come punto focale di ogni vicenda umana.

Ma, toccato nel personale, Cave si è liberato di tutte le voglie di uscire da quel suono oscuro che ha caratterizzato la sua altalenante produzione degli anni zero, e ha composto otto brani ancora più lenti e tetri del precedente Push The Sky Away. Jesus Alone è un singolo decisamente anti-hit, quasi uno spoken-blues, con uno uso di tastiere e sintetizzatori maggiore del solito (Warren Ellis è il vero Deus ex machina produttivo), sui quali poggia anche la successiva Rings Of Saturn. Degli otto brani, alcuni sono funzionali all'idea di fare un disco che sia una vera e propria marcia funebre (Magneto e Anthrocene sono semplici recitati su tappeto sonoro), altri invece dimostrano un autore comunque in stato di grazia (Girl In Amber, I Need You). Per quanto resterà un disco importante nella sua discografia, quando passerà lo shock emotivo di un album così "pesante", noteremo magari che il precedente era più vario e meglio strutturato, e che il capolavoro Cave lo aveva saputo fare con "Boatman's Call", dove affrontava gli stessi temi curando molto anche la costruzione di vere e proprie canzoni, e di quelle ci ricorderemo sempre tra qualche anno, non di queste.

Ma un'altra discussione che lancerei è capire come mai gli unici due album che sembrano aver messo d'accordo tutti nel 2016 facendo gridare al capolavoro (questo e Blackstar di David Bowie), siano dischi egualmente lugubri e dedicati alla morte, accomunati da una caparbietà nel crogiolarsi nel dolore da far sembrare "Magic And Loss" di Lou Reed un party-record. Sembra quasi che in assenza di idee nuove, il rock classico possa trovare alti livelli solo scendendo negli inferi del proprio male, e se questo almeno ci garantisce sul fatto che ancora qualcosa di importante ci sia da dire, dall'altro ci fa domandare: visto che ai tempi di Elvis tutto era nato per parlare di ragazze, sesso e automobili, ci sarà mai qualcuno ancora in grado di farci gridare al miracolo con una canzone che semplicemente vuole far ballare e venir voglia di scopare?


    


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