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rockin' in a free Monsanto world di
Fabio Cerbone (02/07/2015)
Quando Neil Young abbraccia platealmente il populismo e si lascia andare
alla vis polemica, di solito ci sono guai in vista. Non è mai stato uomo da tirarsi
indietro di fronte alle battaglie, anche a costo di sembrare un po' ingenuo nell'esprimere
i suoi convincimenti. Un dato tuttavia è certo: Young lo ricorderemo soprattutto
per il mondo interiore che ha saputo esprimere, per avere dato voce agli abissi,
alle malinconie e delusioni della sua generazione e per avere sempre espresso
empatia con quelle successive, che hanno provato le stesse ferite dell'anima (non
è un caso la sua paternità sul grunge…). Sarà meno elogiato forse per le sue invettive
sociali, che, fatte le dovute eccezioni, hanno spesso sofferto di una spontanea
ma a volte troppo istintiva e semplicistica presa di posizione.
The
Monsanto Years fa parte di diritto di quest'ultima produzione, quella
che comprende Living with War o Greendale, un album istantaneo che affonda però
le radici nell'impegno trentennale del Farm Aid, contro l'agricoltura delle grandi
corporazioni e dei cosiddetti Ogm (e la copertina che ironizza sul famoso dipinto
di Grant Wood, American Gothic, ne rappresenta la sublimaizone), ma più
in generale contro la "cultura" della globalizzazione, delle multinazionali e
della costruzione di un mondo capitalista che rende tutto omogeneo e indistinto
(vedi il riferimento alla catena Wallmart). L'alternanza di peana politici e richieste
di amore e fratellanza segnano l'intero lavoro, nato dall'incontro, proprio al
citato Farm Aid del 2014, con Promise of the Real, la rock'n'roll band
guidata da Lukas Nelson, figlio della famosa icona country Willie. Sono loro -
con l'aggiunta di un altro membro Nelson, il fratello Micah, alle chitarre - a
sostituire il proverbiale motore elettrico dei Crazy Horse. Il riferimento non
è casuale, perché l'approccio di A New Day for Love
o dell'epica Big Box ricalca le dinamiche
della storica band spalla di Young, un po' come avvenne per un'altra collaborazione
"esterna", quella di Mirror Ball insieme ai Pearl jam.
Il sound dell'album
è imbrigliato nello stesso schema country rock, chiassoso e impulsivo, persino
simile nella ricerca delle armonie vocali (ma i Crazy Horse possiedono un'alchimia
che qui non viene raggiunta): lo si intuisce nella nenia acustica di Wolf
Moon, tra gli episodi migliori, proprio perché lontana dalla scalcagnata
formula rock del restante repertorio, una gemma che pare sbucare dalle session
di Harvest Moon. Se il dato musicale in The Monsanto Years è a tratti persino
sorprendente, vista la sua natura estemporanea, vivido nella tirata rock'n'roll
populista di Workin' Man, nella citata apertura
di A New day for Love o nella stessa Monsanto years, una di quelle
melodie circolari e ipnotiche su cui la chitarra di Neil Young si abbandona e
si perde volutamente, non altrettanto si può dire del suo nucleo comunicativo,
fra testi che rasentano a volte la superficialità e molti luoghi comuni. Un approccio
naif che appartiene in fondo alla figura di Neil Young, nel bene e nel male, ma
che rischia di scoprire le carte: tra goffe analisi e schietti j'accuse (il fischiettio
di A Rock Star Bucks a Cofee Shop è il punto più basso) The Monsanto Years
finisce per essere uno dei numerosi, magari sentiti, eppure minori progetti che
di tanto in tanto hanno trascinato fuori bersaglio lo spirito da "cavallo
pazzo" di Young.