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Americana short stories di
Fabio Cerbone (02/03/2015)
"Dolcezza, non urlarmi addosso mentre pulisco la mia pistola". Trovatemi qualcuno,
nell'anno di grazia 2015, che aprirebbe un disco con questi versi, specialmente
se si sta parlando di relazioni, sentimenti, in un quadretto familiare di semplicità
quotidiana. James McMurtry non è però uno qualunque e soprattutto non è
politicamente corretto, sia quando scrive una delle protest song più belle e spietate
degli ultimi trent'anni (We Can't Make It Here, stava su Childish
Things), sia quando decide di affrontare il "gioco complicato" della
vita americana, con uno sguardo ricco di dignità sulle persone. Potrebbe sembrare
l'incipit di una muder ballad, il verso di cui sopra, invece è l'attacco di Copper
Canteen, prima di dodici "short stories" in musica che ribadisce la
centralità del cantautore texano fra quegli autori che hanno traghettato certa
tradizione letteraria "dei margini" dalle pagine scritte ai solchi di
un disco.
Come un Carver perso nelle distese del South West o un Jim Harrison
altrettanto spietato, ma con una chitarra a tracolla, giureremmo (quasi) che il
figlio del premio Pulitzer Larry McMurtry abbia superato il padre in fatto di
narrazione. Soltanto che il buon James ha preferito i quattri-cinque minuti e
i tre accordi in croce delle sue canzoni rispetto al ritmo della parola scritta.
A sei anni da Just Us Kids, più sfrontato ed elettrico, Complicated Game
interrompe la proverbiale pigrizia artistica (ma è solo necessità di dire le cose
quando davvero vale la pena dirle) di McMurtry mettendo sul piatto l'album più
introverso e soprattutto di impianto acustico della sua carriera. Non inganni
infatti il talkin' serrato e dylaniano, anche con qualche pulsione elettronica
fra le righe allucinate del testo, del primo singolo estratto, How'm
I Gonna Find You Now. Si tratta per lo più di un'eccezione, dentro
una scenografia asciutta e decisamente folkie (il banjo di Ain't Got A Place
sulle tracce di Woody Guthrie, la rustica melodia country di Deaver's
Crossing, che riporta al traditional Deep Blue Sea), che tende a privilegiare,
grazie anche alla produzione spartana di CC Adcock e Mike Napolitano, l'intensità
delle parole, lo scorrere delle vite dei personaggi.
Siano essi il pescatore
di Carlisle's Haul, il citato cacciatore di
Copper Canteen, lo smarrito veterano di guerra in South
Dakota o le molte vicende di relazioni umane e di coppia (una classica
You Got to Me, la tenera danza di She Loves Me
e i suoi imprevisti cori in odore di doo-woop, o ancora la secca Cutter)
che segnano la scaletta, le loro storie prendono corpo attraverso dettagli che
soltanto un grande narratore sarebbe in grado di scovare. Poi c'è la musica certo,
e non è affatto un dettaglio, sia chiaro, ma questa volta più di altre l'immobilismo
di McMurtry è quasi un pregio: il suo ostinato attaccamento a certe progressioni
di accordi, in fondo anche il registro limitato della sua interpretazione, sono
tutti funzionali al racconto che ci vuole mostrare. Sublimato nel finale con l'intensa
melodia dai colori irish di Long Island Sound
- tra gli episodi più vivaci dell'album insieme al sapore southern indolente di
Forgotten Coast (JJ Cale approva da lassù e Derek Trucks ci mette la sua
chitarra come ospite) - Complicated Game è un fiume di caratteri,
che si intrecciamo nel denso manuale di resistenza umana approntato da McMurtry.