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midwest blues di
Fabio Cerbone (01/12/2015)
Se
si escludono le collaborazioni con la poetessa Lisa Oldstein nel progetto Cold
Satellite e quelle con il collega Mark Erelli nel trascurabile Seven
Curses, erano quasi cinque anni che Jeffrey Foucalt non si rifaceva vivo
con materiale inedito. Da uno dei migliori talenti della canzone Americana, sperduto
in quell'immenso Midwest fatto di storie e caratteri alla deriva, era lecito attendersi
una carriera più fortunata, forse un'affermazione che non è stata all'altezza
delle premesse. Registrato in soli tre giorni di sessioni, in uno studio del Minnesota,
avvolto dal nulla di un paesaggio rurale, Salt As Wolves recupera
in parte la magia di Ghost
Repeater, fino ad oggi il migliore risultato discografico in carriera.
Arriviamo ad azzardare una pari dignità per questo album, grazie alla presenza
di Bo Ramsey alle chitarre, e guarda caso produttore del citato Ghost Repeater,
il quale ricrea un'intesa musicale che sembrava perduta, accentuando oggi il linguaggio
blues delle chitarre, un'ambientazione ossuta nella scelta dei suoni, ma ricca
di sfumature e caldi riverberi.
L'esito è pieno di fascino oscuro e malinconico,
un po' come se ci trovassimo immersi in un disco di Greg Brown, ma con le qualità
più aggraziate della voce di Foucault, che non ha mai nascosto di inseguire quella
lunga tradizione di troubadour (nel suo curriculum anche un disco tributo a John
Prine). Affiancato dalla batteria di Billy Conway (Morphine), da tempo suo stretto
collaboratore, dal basso di Jeremy Moses Curtis e dalla presenza vocale di Caitlin
Canty, il songwriter del Wisconsin approda al grado zero della sua poesia folk
rock, sporcandola di una patina country blues elettrica che esce prepotentemente
allo scoperto nel groviglio di paludi e riff in Rico,
oppure nell'omaggio alla figura della musicista Jessie Mae Hemphill, prima con
l'esplicita Blues for Jessie Mae, quindi direttamente
con una cover di quest'ultima, la strepitosa Jesus Will
Fix it for You, dalla forte carica gospel.
L'ispirazione vola
alta anche nella parte lirica, una serie di cartoline inviate ad amanti, amici
scomparsi e paesaggi americani che spesso lambiscono nostalgie e visioni dark,
ma anche note di affetto e speranza. Così accade nell'apertura di Des
Moines, già segnata dall'inconfondibile tocco laid back della sei corde
di Bo Ramsey, una costante che si ripeterà per tutto il disco e affonderà
il coltello nella carne viva delle radici blues con episodi quali Strange Heat
and Thunder, in un dialogo continuo con gli accenti elettrici della chitarra
dello stesso Jeffrey Foucault. La coppia passa infatti dal suono rarefatto di
una ballata come la citata Des Moines al timbro rock robusto di Left This Town
a quello desertico, sofferente e bluesy di Oh Mama,
in evidenza le timbriche soul della voce del nostro Jeffrey, prima di tornare
alle fattezze più acustiche di tenere dichirazioni d'amore, quelle contenute in
I Love (And You Are a Fool) e Hurricane Lamp. Portato a termine
grazie all'ormai immancabile raccolta fondi sul web, pubblicato in totale indipendenza,
Salt as Wolves meriterebbe altri budget e attenzioni, spesso riservati a carneadi
Americana di scarso talento: è il disco che rimette al centro della scena
Jeffrey Foucault, confermando che le sensazioni sul suo songwriting non erano
un fuoco di paglia.