File Under:Ryan
vs. Taylor di
Marco Denti (10/12/2015)
Il
pop è una magia da quattro soldi (un po' di più, d'accordo), ma è pur sempre una
magia. Basta un divertissement (stiamo parlando di quello) ed ecco che
da un anno epocale, il 1989, ne arrivano ben tre. Cambia la forma, cambia tutto.
C'è quello originale (originale?) di Taylor Swift ed è completamente casuale che
sia il primo (in ordine di tempo). Potrebbe essere di Katy Perry, Lady Gaga o
Madonna (che in effetti nel 1989 era già sulla cresta dell'onda). Tutte bravissime
a inventarsi una carriera tra costumi e playback, tra gossip e red carpet, la
musica lasciamola perdere. Il 1989 di Taylor Swift era e rimane un cocktail zuccheroso
e gommoso, una spremuta di coloranti artificiali, indigesta dopo trenta secondi,
velenosa, a lungo andare. Quello di Ryan Adams è una birra chiara, gelida,
come ogni tanto ci vuole, senza negarsi un goccio di whiskey alla fine. Il gusto
forte è nel ribaltare il miraggio.
Ryan Adams ha preso il 1989
di Taylor Swift e lo trasformato in un disco di Ryan Adams, anzi l'ha proprio
immerso nella soluzione di Ryan Adams. Fin qui siamo nel campo dell'ordinaria
amministrazione, anche se, trattandosi di Ryan Adams, tra una canzone e l'altra,
sprizza l'aria frizzante del genio. E' nel confronto che 1989 si rivela. Il gioco,
perché il pop è quello, è semplice in apparenza: una rovesciata o un colpo di
tacco, un gesto rapido e furtivo, ma frutto di un'esperienza sul campo. Non è
soltanto una questione di arrangiamenti, ma di interpretazione delle parole (e
del loro significato). C'è, inevitabile, una componente di divertimento, ma è
anche un riflesso del pop e delle sue opportunità e dei suoi istinti (sessuali,
prima di tutto). Se un filosofo come Paul Morley si è innamorato di Kylie Minogue,
è possibilissimo che Ryan Adams soffra un'infatuazione per Taylor Swift, solo
che dal suo punto di vista Ryan Adams non si mette a metà strada, tra le due versioni,
sceglie l'alternativa di capire a modo suo come funziona il pop, o come farlo
funzionare, ed ecco che il suo 1989 suona come i R.E.M., o meglio gli Heartbreakers
o meglio ancora i Byrds, che poi riassumono tutto quel sound di chitarre educate
e delicate, cristalline e ronzanti.
Le fonti restano inamovibili, ed ecco
il terzo 1989 quello che, secondo Ryan Adams, doveva essere ispirato
dagli Smiths e che è rimasto nascosto nelle intenzioni, perché il pop è anche
una promessa irrisolta, la tentazione, più che la soddisfazione. A quel punto
il sound è relativo: Ryan Adams rende ombroso quello che per Taylor Swift è (fin
troppo) esplicito e che negli Smiths era sempre implicito. Va da sé che le congetture
restano tali e che 1989 ha una sua (sana) leggerezza e spontaneità. E' più probabile
(molto più probabile) che lo scopo fosse quello di sedere sullo stesso divano,
come è poi successo, l'incantevole Taylor Swift da una parte, con il suo filo
di perle e il volto angelico e il ragazzo di strada all'estremo opposto, e chissà
se mai si incontreranno davvero. Il (prossimo) capolavoro può attendere, ma intanto
1989 rivela tre segreti gaudiosi del pop: quello che vi mostro è falso, quello
che vi nascondo è vero e gli Smiths restano una (grande) incognita.