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feel hippie & folkie di
Fabio Cerbone (20/10/2014)
Ha
spesso cercato un partner artistico Mark Olson: che si trattasse del vecchio
compagno Gary Louris, con cui ha scritto la piccola storia della generazione alternative
country americana nei Jayhawks, oppure la prima musa Victoria Williams, con la
quale si inventò l'avventura hippie folk dei Creek Dippers nel deserto californiano,
la necessità di un confronto è stato il combustibile per mettere in musica il
suo spirito poetico e arrufato, le sue ballate fragili che guardano all'animo
umano più desolato. L'incontro con Ingunn Ringvold, nuova compagna e musicista
di origini norvegesi che da qualche tempo affianca Olson nelle sue uscite, è stato
l'ultimo toccasana, quello in grado di farlo uscire dal vicolo cieco, un po' introverso
e irrisolto, del precedente Many
Colored Kite, l'album più stanco della sua carriera, o dalle ombre
malinconiche del pur pregevole The
Salvation Blues.
Good-Bye Lizelle, registrato
per le strade del mondo con l'ausilio di uno studio mobile e una filosofia "homemade",
è infatti il lavoro più interessante ed ispirato della sua avventura solista dai
tempi degli esordi di My Own Joe Ellen. Guarda caso c'è ancora il nome di una
donna nel titolo, universo femminile che simboleggia un po' l'ispirazione di Olson,
i cui testi sono spesso frammenti di poesia, piccole confessioni per immagini,
mentre la musica distende un folk cristallino, ora levigato da armonie pop (la
splendida Long Distance Runner, dedicata alla
figura dell'atleta olimpico Emil Zàtopek), altre volte persino orientato alla
contaminazione con musiche lontane. Accade oggi nella arabeggiante Running
Circles o ancora nei toni africani dettati dal djembe in Jesse
in an Old World, affascinante meticciato tra le radici americane e
rurali di Mark Olson e il mondo che ha solcato in tour durante questi anni. L'educazione
musicale eclettica della Ringvold, polistrumentista dagli studi classici, gioca
un ruolo centrale nella ricerca di questi arrangiamenti più esuberanti.
In
Good-bye Lizelle l'utilizzo di dulcimer, harmonium, del citato djembe, di flauto
e violoncello si abbina con le strutture folk dettate dalle chitarre acustiche,
immergendosi nell'incastro naif delle voci (The Go-Between Butterfly) che
hanno il sapore della stagione californiana del Laurel Canyon. Si comincia dalla
storia di Lizelle Djan in apertura e si prosegue nella trasparente delicatezza
di Heaven's Shelter e All These Games.
Il classico suono folk rock di scuola Jayhawks ricompare in Poison
Oleander, la più elettrica del disco (c'è anche l'amico Neal Casal
alle chitarre), salvo sciogliersi nella dolcezza per piano e acustiche in Which
World is Ours? e nei morbidi volteggi del flauto in una Say You
Are the River che ricorda lontane stagioni folk psichedeliche. Arricchita
la coppia di base con la presenza di alcuni ospiti, tra i quali diversi musicisti
scandinavi (Oystein Greni dai norvegesi Big Bang), l'album mantiene un'anima in
gran parte bucolica, senza per questo assomigliare ad una copia dei citati Creekdippers,
semmai offrendo a quel tipico calore domestico delle composizioni di Olson una
nuova chiave di lettura. Un ritorno inaspettato.