Willie Nelson
Band of Brothers
[Legacy/ Sony Music
2014]

www.willienelson.com

File Under: american icons

di Davide Albini (07/07/2014)

È notizia delle scorse settimane che il grande ranch di Willie Nelson, situato a Luck, nei dintorni di Austin, sia stato danneggiato da uno dei numerosi tornado che spazzano puntualmente la terra texana. Alcune costruzioni sembra abbiano ceduto sotto le sferzate della tempesta, ma il buon Willie si è prontamente speso per assicurare che il luogo verrà ricostruito in fretta. L'uomo è questo, non c'è dubbio, a ottantuno anni non ha la minima intenzione di deporre le armi: macina dischi e canzoni come fossero un esercizio quotidiano di respirazione e la cosa è ancora più sorprendente se pensate che si tratta di una artista che ha cominciato ad incidere sessant'anni fa. È inutile cercare di tenere il conto, fra album di studio, dischi dal vivo, tributi e raccolte Nelson ha superato abbondantemente l'ottantina di pubblicazioni e Band of Brothers è solo l'ultima tappa prima di raggiungere il prossimo obiettivo.

Registrato ancora sotto la direzione di Buddy Cannon, che ha diretto e arricchito le demo acustiche di Willie da cui sono nate le canzoni, è un disco importante soprattutto perché segna il ritorno di Nelson alla scrittura, con nove brani inediti su quattordici, rompendo la serie di collaborazioni e duetti di questi ultimi anni (alcuni in verità un po' stucchevoli). Non si tratta certo di un caposaldo della sua recente discografia come lo sono stati Teatro o Spirit, restando nel campo delle incisioni originali, ma è un segnale di grande vitalità, con l'apertura classica di Bring it On e la sua fedele chitarra "Trigger" a saggiare le note o l'irresistibile walzer nostalgico di Guitar in the Corner. Il trittico iniziale è in effetti una dimostrazione di classe infinita, chiuso dalla strepitosa ballad The Wall, uno dei vertici dell'intero lavoro con la presenza dell'armonica di Mickey Raphael e la soffice sezione ritmica che riporta ai grandi spazi della migliore country music. Non tutto si manterrà su questi livelli nel prosieguo di Band of Brothers, ma l'alternanza di toni sentimentali con altri più scherzosi è la chiave per la riuscita dell'album, già accolto con favore dalla stampa americana e dal pubblico, che lo ha fatto schizzare nella top five di Billboard dopo pochi giorni: era parecchio che non capitava.

Sul primo versante si segnalano un altro colpo basso dello stile di Willie come Send Me a Picture, mentre sul secondo arrivano la spiritosa Wives and Girlfriends e la ripresa di Hard to Be an Outlaw di Billy Joe Shaver, una delle due cover del vecchio Billy riproposte qui, l'altra il duetto con Jamey Johnson nella blueseggiante e scura The Git Go, riflessioni segnate dal peso degli anni. Nella seconda parte Band of Brothers si fa in generale più "leggero" musicalmente, con tocchi di country rock robusto (la stessa title track), western swing (Used to Her) e honky tonk elettrico (la mossa Crazy Like Me, la conclusiva I've Got a Lot of Traveling to Do), con un fine corsa dedicato a tutti i vagabondi songwriter del mondo (We're heroes, we're skimmers, we're drunks, we're dreamers, we're lovers and sometimes we're fighters canta Willie in The Songwriters di Bill Anderson).

Mentre altre icone della musica americana ci hanno lasciato, mentre taluni centellinano le uscite, a volte ottengono un fortunato ritorno sulle scene oppure decidono proprio di sparire dalla circolazione, godendosi un meritato ritiro, Willie Nelson ha quasi una necessità fisica di restare al centro della sua musica, senza preoccuparsi di confondere gli ascoltatori con l'eccesiva mole di produzuoni.


   


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