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Millsap
Parker
Millsap
[Okrahoma
2014] www.parkermillsap.com
File Under:
Americana,
folksinger
di
Fabio Cerbone (01/12/2014) | |
Sto
ancora cercando di capire cosa la gente voglia dire quando parla di "una vecchia
anima". Immagino sia meglio che avere una "vecchia schiena" o delle "vecchie ginocchia".
Così il ventunenne Parker Millsap commenta con ironia le descrizioni piovute
sulla sua musica e soprattutto sulla sua voce, all'indomani dell'esordio internazionale
con l'omonimo album. È innegabile che il dato anagrafico faccia a pugni con la
densità dei testi e il legame stretto con le radici della terra d'origine, elementi
che scaturiscono al primo ascolto. Le ballate aspre e romantiche, l'incedere rurale
e vibrante fra chitarre acustiche, corde di violino e canti che mettono insieme
campagna country blues e religiosità gospel, sembrano appartenere ad un'altra
epoca. Forse a quella della famiglia stessa di Millsap, che un tempo di trasferì
in Oklahoma, prima delle famigerate tempeste di sabbia della Depressione. Da allora
le stagioni sono passate, ma la vita nell'America più profonda pare seguire sempre
un percorso determinato, che dalle fondamenta della folk music esige spesso un
passaggio, una tappa per la formazione del musicista. In questo caso si tratta
di un chitarrista e autore che nasce quando, per esempio, gli Uncle Tupelo si
sono appena sciolti e il movimento No Depression sta per spiccare il volo: giusto
per ribardire che certe sonorità girano eternamente nell'aria.
Tutto ciò
serve anche a inquadrare le coordinate e le suggestioni di Parker Millsap,
tra gli esordi più interessanti dell'anno in campo Americana e conferma di un
movimento locale assai vivace. Non a caso alla produzione del disco lavora il
bassista Wes Sharon, già al fianco del conterraneo John Fullbright, al cui stile
si richiama molto l'indole di Millsap. Diciamo pure che questo lavoro simboleggia
la conferma che Fullbright non è sembrato in grado di offrire quest'anno, conservando
invece il giovane Parker un'attitudine più schietta e una vivacità di soluzioni
che passano dal canto disperato di Old Time Religion
agli spintoni roots rock di Truck Stop Gospel,
fino al scudisciate rockabilly blues di Quite Contrary,
che si guadagna anche la palma di miglior testo. Millsap ha una storia comune
a molti ragazzi cresciuti nel grande spazio americano: una famiglia religiosa,
il canto appreso in Chiesa (comunità Pentecostale), l'amore e il conflitto per
il blues e il rock'n'roll, la tradizione dei songwriter. Tutto questo, mischiato
a regola d'arte, si trasforma in un disco freschissimo eppure tradizionale fino
al midollo: la differenza sta nella convinzione della voce, che ha davvero una
"old soul" a smuoverla dentro. C'è la dolcezza disarmante di Forgive
Me a sottolinearlo, ballata dalle gradazioni soul (guarda caso), che
si alterna alle fattezze acustiche e folkie di The Villain, travolte spesso
da luoghi oscuri e confessioni che vanno ben oltre l'esperienza di vita di un
uomo di vent'anni.
Il piccolo combo alle spalle lavora di sottrazione,
non spreca note e si attiene alla sostanza roots del repertorio, ma sa dove aggiungere
i colori giusti: questa non è affatto pochezza di idee, semmai intelligenza nel
guardare al cuore delle canzoni. Ecco allora la filastrocca irresistibile di Disappear,
l'antico walzer country di At the Bar e la
dylaniana When I Leave, che ricorda vagamente
un acerbo Todd Snider, quando era una promessa del nuovo cantautorato Usa. Già
apprezzato nelle lande country alternative di Nashville, ospite sul palco del
Ryman Auditorium al fianco degli Old Crow Medicine Show, in tour con Shovels &
Rope, Parker Millsap si appropria dello spirito "raw & dirty" di questa nuova
generazione di musicisti e libera l'impetuosità del suo canto nella chiusura sudista
e bluesy di Land of the Red Man. Una bella
rivelazione.
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